
Appunti sparsi su Django & Django
August 31, 2022 0 By Simone TarditiA primeggiare in questo documentario su Sergio Corbucci a cura di Steve Della Casa e Luca Rea è Quentin Tarantino: Django & Django è cucito su di lui, sulla sua cinefilia, sulla sua visione dell’industria italiana dell’epoca, sul clima culturale e politico, sui fascismi e sulle lotte proletarie. Uno sguardo, in breve, a un cinema che aveva qualcosa da dire a quelli spettatori che non andavano in sala con l’unico obiettivo di venir intrattenuti con immagini violente, ma che erano alla ricerca di messaggi di rilevanza sociale, di insegnamenti etici a prescindere che questi ultimi fossero portati avanti da eroi piuttosto che da antieroi.
A parte il rievocare i nobili intenti di quello che fu il cinema italiano di un tempo, Django & Django dà il suo meglio su altri fronti, quelli dell’aneddotica. Veterani come Franco Nero o Ruggero Deodato, intervistati, illustrano con chiarezza e senza presunzione alcuna in cosa consisteva il loro mestiere davanti e dietro la macchina da presa, come esso si componeva fuori e dentro i set quando il centro Italia era terra da esplorare alla ricerca di location per western, senza nulla da invidiare all’America di John Ford se non la Monument Valley. E proprio su John Ford, universalmente riconosciuto come nume tutelare del genere, si sofferma Quentin Tarantino (che afferma di non averlo in gloria, preferendo forse Peckinpah, Walsh, Hawks o Daves) nel descrivere la principale differenza tra il regista di Sentieri selvaggi e Sergio Corbucci: il primo ritrae la comunità americana con affetto e fiducia, il secondo come una cloaca dove affiorano solo i più stronzi. Parafrasandolo, più o meno il concetto è questo.
Sergio Corbucci, medaglia d’argento sul podio degli spaghetti western che vede e vedrà sempre al primo posto il fautore Sergio Leone, è l’antesignano. Due sue pellicole del 1964, Minnesota Clay e Massacro al Grande Canyon, sono il tentativo di fare western in Italia seguendo il modello statunitense, non con la mira di mescolare gli elementi costituenti assieme a “ingredienti” autoctoni o presi altrove. È un inizio. Due anni dopo, con gli effetti di Per un pugno di dollari, sarà per molti cineasti italiani (compreso lui) quella la traccia da seguire. E a quel punto le contaminazioni sapranno arrivare anche da altrove. “Tutti i miei film sono sempre stati un pochino ispirati dai fumetti”, dice Corbucci in un filmato d’epoca ripreso in Django & Django. Come negare l’evidenza?
Il documentario, si è detto, lascia un grande spazio all’estimatore Quentin Tarantino, che ha sfacciatamente omaggiato Corbucci nel corso della sua carriera. Seduto come su un trono dentro la sua saletta di proiezione privata, egli apre e chiude il racconto: dapprima ripercorrendo la novellizzazione di C’era una volta a Hollywood (l’arrivo di Rick Dalton a Roma e l’incontro con l’autore di Navajo Joe) e infine dando una sua interpretazione di Django (1966) e degli intenti del protagonista, dando prova ulteriore sul fatto che la mente di chi vive di cinema non ragioni come le altre. Fuori dal seminato, ma fino a un certo punto visto che se non fosse morto prima avrebbe recitato per Tarantino nel film di cui poco sopra, a riprova dei cortocircuiti cinematografici merita il ricordo che Deodato fa di un Burt Reynolds vendicatore d’insulti mentre è ospite del collega Lucio Rosato a Zagarolo.
Into this world we're thrown".
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