
Le Giornate del Cinema Muto 2022: speciale Norma Talmadge
October 12, 2022 0 By Simone TarditiLa 41ma e ruggente edizione 2022 delle Giornate del Cinema Muto si è conclusa qualche giorno fa. L’incanto di quella che è una macchina del tempo come poche altre (non in Italia: nel mondo) attende i cinefili per il prossimo anno. Tra le varie sezioni, tra cui quella apprezzatissima dedicata ai novant’anni dalla prima Mostra del Cinema di Venezia, si è fatta notare quella dedicata all’attrice statunitense Norma Talmadge (1894-1957).
Scoprendone i film a Pordenone, è stato chiaro quanto il recitare ruoli doppi sia uno dei tratti distintivi della sua carriera. In Ghosts of Yesterday (1918) interpreta due donne fisicamente identiche (e della stessa età, cosa che, si vedrà, non avvenire sempre), ma d’animo diverso. L’una è una grande lavoratrice, figlia fedele e seria, altruista al punto da salvare un uomo dai trascorsi di dissolutezza e di sposarlo. L’altra invece è una che trascorre più tempo nei locali a bere e danzare che a casa. È la figura maschile a porsi in posizione intermedia tra le due: la moglie muore di malattia, lui cade in depressione e sembra uscirne solo quando s’imbatte nella seconda donna e le si avvicina come se fosse la reincarnazione di quella un tempo amata e poi perduta. La bon vivant cede alle di lui attenzioni e qui si crea lo snodo più interessante: l’uomo non solo vede in lei i tratti esteriori della moglie, ma inizia a chiamarla con quel nome, le chiede d’indossarne gli abiti e trova un conforto illusorio in una realtà alternativa che lo fa stare inaspettatamente bene. Non solo, lei comincia a provare dei sentimenti pur essendo conscia dei limiti di quel rapporto: infatti non vuole più semplicemente assomigliarle, vuole essere come la defunta. Quando però si rende conto che è amata unicamente in virtù di quella somiglianza e non per chi è davvero nel profondo, allora tutto s’incrina. Il finale è consolatorio per entrambi i personaggi.
Lo sdoppiamento in panni radicalmente differenti lo si rileva anche in Yes or No (1920), che nei cartelli iniziali Norma Talmadge si vanta di poter firmare essendo stato realizzato nei suoi studi cinematografici (a riprova di quanto all’epoca il produrre i film fosse una pratica decisamente più “autoriale” che il dirigerli). Qui l’attrice è sia una riccona viziata (con tanto di governante interpretata dalla sorella Natalie, dai tratti molto simili) sia una poveraccia con figli a carico e un marito che dà poche soddisfazioni. Tolta una condizione sociale radicalmente dissimile, entrambe sono accumunate dal fatto di essere tristi ai limiti del crollo emotivo. Il problema principale della loro infelicità è dovuto proprio agli uomini al loro fianco: la prima (che sullo schermo si vede anche meno) è trascurata, la seconda assiste ogni giorno al ripetersi identico di un’esistenza che si realizza unicamente nelle mura domestiche. La tentazione di cedere alle avances di nuovi spasimanti è dietro l’angolo e si fa ogni giorno più forte: l’umile non cederà (e verrà ripagata, alla lunga, da un inaspettato successo del marito), l’abbiente invece si getterà nelle braccia di un altro per poi essere presto dimenticata. Finale tragico per quest’ultima. Quel che conta è la morale che della sua parabola sentimentale viene fatta: perché rovinarsi quando la vita è comunque più deludente che allegra? Yes or No, come scelta di titolo, allude al crocevia decisionale in cui ci si può trovare. Cosa è meglio fare, compromettere qualcosa oppure fermarsi a tempo? Di risposte ne vengono fornite due, di insegnamenti solo uno.
Nella Francia e nella Londra ricostruite in studio di The Lady (1925) – regia curata da Frank Borzage, e si vede – Norma Talmadge è una madre costretta ad abbandonare il proprio figlio per quello che è un drammone strappalacrime nella sua ultima mezzora (al Teatro Verdi gli occhi lucidi non sono mancati). Anche qui si compie un doppio ruolo: la donna veste i panni sia della protagonista da giovane sia da anziana solo che, fisicamente, sembra fuori parte: è troppo in là con gli anni per fare la ventenne ed è troppo giovane per apparire convincente come signora di cinquant’anni. Ciò detto, il film vale. E vale, s’intende, anche lei come attrice, se non lo si fosse già capito.
Non interpreta due parti distinte, bensì una protagonista scissa dai costumi e dagli usi della sua comunità in The Heart of Wetona. In questo buon western del 1919 (proiettato in pellicola 35mm) Norma Talmadge è una pellerossa in conflitto col padre (capotribù) che la tratta come una semplice emanazione di sé e non come figlia a cui voler incondizionatamente bene. L’ossessività di costui, accompagnata dal sistema di valori arcaici in cui crede, renderà impossibile la tranquillità della ragazza, sballottata com’è dall’amore che prova per un bianco – motivo di disonore – e l’affetto, nonché soggezione, verso quell’ambivalente genitore. Da quello che è uno stereotipato ritratto umano fortemente connotato dal razzismo (l’illetterato indiano vs il colono bianco, positivo e virtuoso) emerge però anche la complessità di una lotta tra poli opposti che non può trovare soluzione se non a partire da uno scavo interiore, che è sempre sinonimo di una trasformazione individuale. E sotterraneamente il film fa un buon lavoro in tal senso: ripudiata dal padre dopo il matrimonio, la “compromessa” Wetona diventa più bianca anche nell’aspetto, la pelle si fa più chiara, la capigliatura rinuncia alle treccine e si fa più alla moda occidentale, i tratti somativi si addolciscono. Dopo un immancabile e griffithiano / inciano assalto a un casolare compiuto da alcuni nativi americani sul piede di guerra, c’è spazio per una riconciliazione tra genitore e figlia. Un amaro happy ending che nasconde ed emblematizza la sconfitta di un’intera razza.
Into this world we're thrown".
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