
The Bear è E.R. che incontra i Soprano
November 14, 2022 0 By Gabriele BarducciC’è un nuovo sceriffo in città e si chiama The Bear.
Ne avrete sentito parlare tutti, a buonissima ragione. The Bear è una serie un po’ così, distante, posticcia, difficile da assimilare, quasi ostica nel modo in cui uno spettatore cerca di acclimatarsi nei primi minuti di un serial nuovo, non diverso dalla produzione media, in particolare quando ci si addentra nel mondo della cucina.
Televisione, reality, programmi affini, il mondo della cucina sembra aver rapito l’attenzione dello spettatore medio, pur rimanendo affascinato da qualcosa che sembra – e lo è – un costrutto spalmato su un prodotto venduto come reale. The Bear affronta lo stesso tema, ma in modo totalmente contrario: fa finta che lo spettatore non esista, anzi lo getta all’interno delle vicende dello chef stellato Carmy Berzatto, che dopo aver abbandonato per una crisi di nervi (e forse aver dato fuoco la cucina) un ristorante di quelli più ambiti, di centinaia di dollari per un piccolo piatto, dove la perfezione regna sovrana, adesso si ritrova a gestire il locale del fratello suicida. Pollo fritto, hamburger, panini sporchi, criminali fuori la porta che offrono protezione in cambio di un pasto, una famiglia italoamericana che sembra uscita dai Soprano, tra salsa di pomodoro e spaghetti.
The Bear è una centrifuga di azioni: si parla, si parla tanto, le battute si assimilano a quelle degli altri attori in scena, la camera frenetica segue gli avvenimenti, le comande arrivano senza sosta e il pollo non c’è, i fornitori scaricano metà ordine perché i debiti si accumulano, Carmy si rannicchia da una parte, accende una sigaretta vicino la bombola del gas, il controllo igiene boccia il locale, il pane non arriva, un giovane chef decide di lavorare lì solo per rispetto nei confronti di Carmy, astro nascente della cucina che sembra aver perso il filo della ragione.

E continua all’inverosimile, risucchiando lo spettatore in un prodotto viscerale, sporco, putrido, pieno di sporcizia sulle piastre, cocaina spacciata dietro la strada e quando ci cerca di sistemare al meglio un locale, con organizzazione, perizia, metodo, poi qualcosa esplode.
La cucina come metro di paragone di una psiche totalmente distrutta, per il lutto, per una debolezza emotiva, per quel foto che Carmy osserva quasi fosse una donna affascinante, che vorrebbe prendesse tutto il locale, bruciare per depurare un demone interno. Lo stomaco si ritorce continuamente e la cristallizzazione assoluta della bellezza della serie arriva al penultimo episodio, un lungo piano sequenza preciso di poco più di 20 minuti, tra ordini online che arrivano a raffica, il cibo che manca, persone che si accoltellano in cucina, chi getta il grembiule per terra, chi va via con un ghigno isterico.
In The Bear non ci sono chef, clienti, cassieri o pasticceri, bensì c’è la voglia di portare la narrazione in un piano esistenziale superiore alla media, quello di non stare lì a perdersi in momenti didascalici o cercare spiegazioni in confronti diretti. Alle domande che aumentano ci sarà sempre Carmy gettato da una parte, capire cosa fare mentre si gratta i capelli. Senza cuffietta. Senza guanti. Per toccare cibo subito dopo.
Sublime e viscerale.
`Cause tramps like us, baby we were born to run"
- Bruce Springsteen
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