Se White Noise fosse un film

Se White Noise fosse un film

January 16, 2023 0 By Simone Tarditi

Adattare le opere degli autori postmoderni della letteratura americana può rivelarsi un gioco che non vale la candela. Questo almeno per il pubblico. Ne sa qualcosa chi si è trovato inebetito di fronte a Vizio di forma (2014) di Paul Thomas Anderson, il quale si è immolato per la summenzionata causa traendo da un romanzo di Thomas Pynchon – la vetta più alta tra gli scrittori fatti rientrare nei paradigmi del movimento – un film di cui tutto si può dire tranne che sia un film per tutti. Per chi ama il cinema e la letteratura un bene più che un male. Dopo il mezzo miracolo realizzato da David Cronenberg con Cosmopolis (2012) e tralasciando l’effimera riduzione di Body Art (tras)curata da Benoît Jacquot nel 2016, Noah Baumbach ha rischiato di impelagarsi non poco nell’accettare di portare sui piccoli schermi domestici White Noise, tra i titoli più amati di Don DeLillo.

Se economicamente (140 milioni di dollari il budget) e artisticamente White Noise si è rilevato un mezzo suicidio tanto per Netflix quanto per Baumbach, di morti vere durante le riprese paiono essercene state almeno tre: una persona si è tolta la vita, un’altra ha avuto un’overdose e la terza un infarto. Si aggiungano le voci di corridoio che raccontano dei chilometri di pellicola sprecati nel girare e rigirare ossessivamente le stesse scene, delle proteste portate avanti dalla troupe e dalle comparse per aver lavorato allo sfinimento ben oltre gli orari stabiliti nei contratti, dei licenziamenti in corsa e delle fughe di parte dello staff, dei mancati catering, del mobbing ai danni delle maestranze e si avrà un quadro generale del caos dietro le quinte. Ovviamente in America si è parlato più di questi dati catastrofici che del film in sé, cosa che con ogni probabilità è destinata a perdurare nel tempo dando a White Noise modo di essere ricordato soprattutto per le travagliate vicissitudini produttive e molto meno per la sua qualità.

Si deve però specificare un fatto: White Noise sarà anche una maldestra trasposizione da DeLillo, ma non un disastro. Era lecito aspettarsi molto peggio stando alle cronache. Tuttavia da un lato viene da chiedersi come sia potuto costare così tanto quando per circa 2/3 i personaggi se ne stanno chiusi in interni a dialogare tra loro, dall’altro viene spontaneo domandarsi come si è potuto credere di riuscire a condensare in neanche due ore e mezza una narrazione come quella imbastita dall’autore del romanzo, specie se si considera quanto poco minutaggio si dedichi alle sezioni “apocalittiche” (l’evento radioattivo) e quanto più al dramma di coppia che occupa tutta la seconda metà del film. Il risultato sono due monconi: una prima parte dal montaggio senza pace dove l’uso concitato di comparse e veicoli denota uno sperpero, una seconda (maggiormente dilatata) dove invece tutto è al risparmio. Per obbligo o per scelta? Per costrizione o per volontà? Non che tutto ciò danneggi il prodotto nel suo complesso, solo che la disparità tra un atto e l’altro è evidente.

Baumbach finisce col rendere suo un progetto che in origine non lo era. Questo lo si nota per l’appunto nella dicotomia di White Noise con tutta l’abbondante seconda ora dedicata alle turbolenze di coppia tra marito e moglie sballottati tra gelosie, tradimenti (presunti, realmente avvenuti, fantasticati, compiuti sotto effetto di sostanze), dipendenze da farmaci, possessi d’arma da fuoco, gestione problematica dei figli, stress lavorativi, ansie di morte, speranze che la propria noiosa vita duri per sempre e mantra ripetuti a mo’ di panacea, ossia il pentolone di ingredienti vari che il regista è solito mescolare in ogni suo film. Dicotomia che è insita anche negli stessi personaggi dal momento che caratterialmente si trovano su due sponde opposte dell’apatia: lui si rapporta al mondo infondendo terrore anche quando non è il caso, lei al contrario tende a ricercare la serenità in ogni contesto. Cosa li unisce? Lo sminuire pericoli altresì evidenti a chiunque.

Va messa da parte l’idea di una fedeltà a DeLillo poiché, pur essendo teoricamente possibile, non poteva essere Baumbach a portare a termine l’impresa. Si lasci perdere il romanzo, non lo si consideri, e si vedrà come White Noise rimanga comunque una pellicola degna di una qualche considerazione tra i cinefili. Innumerevoli, per esempio, gli omaggi a Brian De Palma, dalla messa a fuoco di soggetti lontani tra di loro nella stessa inquadratura a un indimenticabile (e totalmente démodé) movimento di macchina che, spostandosi come sospeso nell’aria, passa dal totale di una stanza al dettaglio di una mano sul cui palmo c’è una pillola di Dylar.

Simone Tarditi