
Rebecca di Hitchcock, fonte di ambiguità
February 9, 2023 0 By Mariangela MartelliRebecca, la prima moglie (Rebecca, 1940) è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Daphne du Maurier (1938) e il primo film hollywoodiano del regista inglese Alfred Hitchcock. Una fiaba gotica, dalle atmosfere di fine ‘800 che si apre con il ricordo “onirico” della protagonista della tenuta di Manderlay, dove si è trasferita appena sposata. Da qui si snoda il corpo del film che porterà all’evolversi dell’io narrante della giovane, da uno stato di innocenza alla consapevolezza, non appena il marito le confesserà la verità. Non conosciamo il nome della protagonista, interpretata da una giovanissima Joan Fontaine, la quale sarà presente anche nel film successivo del regista, Il Sospetto (Suspicion, 1941). Il flashback inizia da quell’estate a Montecarlo, dove la ragazza è la dama di compagnia di una ricca signora e conosce Maxim de Winter (Laurence Oliver): un uomo solitario, ancora in lutto per la moglie, scomparsa in circostanze poco chiare, da circa un anno. La giovane vede l’uomo alla scogliera, per la prima volta, mentre passeggia con il taccuino da disegno; i due iniziano subito una frequentazione fatta di gite in macchina lungo la riviera. A lei sembra di vivere un sogno, in un tempo sospeso. << Questo istante – sono le undici e venti – non dovrà mai andare perso e poi chiuse gli occhi per far sì che quell’attimo durasse più a lungo. >> Daphne du Maurier, Rebecca, la prima moglie, edizione Il Saggiatore, 2020, p. 45.
La vacanza francese arriva al termine e al momento della partenza di lei, Maxim le propone di sposarlo. I due si trasferiscono nella villa di Manderlay, in Inghilterra, ma la protagonista si trova presto a doversi misurare con un ambiente ostile. Manderlay è il luogo che la giovane dovrebbe chiamare casa, ma non le è facile abituarsi a quelle enormi stanze vuote. La dimora assume un ruolo fondamentale all’interno della trama, in particolare per quanto riguarda la psicologia della protagonista stessa e la dinamica che intreccia con la governante, la Signora Davers (Judith Anderson). La nuova Signora de Winter, non si sente all’altezza dello status sociale acquisito con il matrimonio, in quanto deve fare i conti con tutto un universo precedente al suo arrivo e che si trascina ancora nella presenza-assenza della prima moglie. Difficile per la protagonista competere con ciò che ha rappresentato Rebecca, il fantasma di lei aleggia ovunque: evocato costantemente nei discorsi della servitù e del marito e reso manifesto nelle iniziali stampate o ricamate degli oggetti, posseduti in vita. Il fisico minuto della protagonista è totalmente assorbito dai corridoi bui e labirintici: la giovane si sente schiacciare dal peso di colei che mai potrà sostituire. Il senso di inadeguatezza è vissuto senza soluzione di continuità dalla protagonista e messo in risalto dall’atmosfera claustrofobica di Manderlay.
<< Le stanze erano piene dei suoi fiori preferiti. I suoi vestiti erano ancora negli armadi della sua stanza, le sue spazzole sulla toeletta, le sue scarpe sotto la sedia, la camicia da notte sul letto. La padrona di Manderlay continuava a essere Rebecca. Rebecca era la vera signora de Winter. Io qui non c’entravo nulla. Ero entrata, povera sciocca, in un territorio riservato.>> Ivi p. 255. La custode di tutti gli oggetti di Rebecca è la governante, completamente devota al culto della sua precedente (e per lei unica) padrona: la Signora Davers vive in una condizione di lutto permanente, intervallata dall’esaltazione della figura di Rebecca, da lei descritta come un essere perfetto: colta, raffinata, bellissima, che riusciva in tutto… A contrasto con la nuova moglie. La tenuta viene descritta, nel romanzo, al pari di un organismo vivente. Se un tempo l’ambiente domestico viveva grazie ai balli e ai banchetti che si svolgevano all’interno dei saloni, quel che ne rimane, dopo la morte di Rebecca, sono quattro mura spente e stantie. Per riportare in vita la casa, la protagonista si fa coraggio per organizzare una festa in maschera. Su (cattivo) suggerimento dalla governante, la giovane indossa gli abiti di un’antenata, una delle tante figure che popolano i dipinti, esibiti sulle pareti della galleria di famiglia. Max, però, rimane sconvolto, nel vedere come la nuova moglie incarni la defunta, vestita esattamente nello stesso modo di Rebecca, al carnevale precedente: il travestimento della protagonista dà forma alle paure del marito. A partire da questo capovolgimento, si innesca un meccanismo in cui sembra che tutto non sia come appare: la verità, legata al passato recente, viene svelata poco alla volta, all’interno delle conversazioni della governante e del marito. Forse, il rapporto che l’uomo ha intrecciato con Rebecca non è stato così meraviglioso come sembrava: è la governante a confessare la vera natura indomabile della prima moglie, in particolare della libertà con la quale trascorreva il tempo con altri uomini, al cottage sulla spiaggia. Anche se non vediamo mai Rebecca possiamo immaginarla per tutta la durata del film; inoltre, è lei la vincitrice all’interno del rapporto tra i nuovi coniugi. << La sua ombra si è sempre messa in mezzo a noi. La sua maledetta ombra ci ha tenuti lontani. Come ti potevo abbracciare così stretta, mio piccolo amore, con il cuore sempre pieno di terrore? Ricordo i suoi occhi, come mi guardò, prima di morire. Ricordo quel sorrisetto maligno. Lei lo sapeva già, che sarebbe successo. Lo sapeva, che alla fine avrebbe vinto.>> Ivi, p.289.
Come il mare di Montecarlo incornicia l’incontro tra la protagonista e Max, così questo elemento naturale ritorna nella parte finale della storia. È dal mare che riemerge la verità, a partire dalla scoperta di un relitto: evento che sposta l’attenzione sull’erroneo riconoscimento di un altro corpo, avvenuto in precedenza, da parte di Max. Nel fondo dell’imbarcazione, giacciono le spoglie di Rebecca, affondata al largo e rimasta intrappolata nella cabina. Comprendere le vere cause dell’incidente sono motivo di indagine, all’interno del processo. Nella sequenza giudiziaria viene messo in luce come il fondo della barca sia stato trapassato da un arpione e le valvole di scarico siano state lasciate aperte.
La pellicola è stata prodotta da David O. Selznick, all’epoca impegnato nelle riprese di Via col vento. Hitchcock, alle prese con il primo film statunitense, gira dei piccoli pezzi che, montati direttamente alla presenza del regista stesso, gli garantiscono un potere maggiore sull’opera. Ricordiamo, inoltre, che il film è stato premiato con un Oscar per il miglior film (andato al produttore, nel ’40 la migliore regia è quella di Furore, di John Ford) e un Oscar per la fotografia di George Barnes. Rebecca, la prima moglie è un melodramma gotico, dal ritmo pacato e narrato dal pdv del personaggio principale (ricordiamo il remake del 2020 di Ben Wheatley). La suspence, le vicende vissute dalla protagonista, l’utilizzo delle luci e delle ombre ne fanno un modello per il genere noir. La trama è semplice e focalizza sulla psicologia della nuova moglie, costretta a convivere con il fantasma di Rebecca: presenza oscura che abita gli interni claustrofobici della villa. Sebbene la pellicola sia meno esplicita e modificata in alcuni passaggi (ricordiamo girata nel periodo del Codice Hays), la trasposizione su grande schermo è molto fedele al romanzo: la sceneggiatura è frutto di un adattamento a otto mani. Tra le scene eliminate troviamo la visita a casa della nonna che si conclude con l’anziana che chiede di Rebecca mentre una certa censura è stata fatta nei riguardi dei motivi legati alla scomparsa della prima moglie. Nel film si parla di scambi di identità e alibi nebbiosi, di tradimento con il cugino di lei, di una malattia terminale e di una gravidanza, di omicidio e di suicidio. Nel libro, il marito spara a Rebecca, senza provare rimorso, nel film lei cade e sbatte la testa. Ogni personaggio fornisce informazioni diverse che alimentano più versioni, da ricostruire. La realtà dei fatti è svelata fino a un certo punto: la fonte dell’ambiguità, in cui niente è come sembra, è da ricercarsi nel rapporto di Rebecca con il marito, apparentemente idilliaco ma, a livello profondo, privo d’amore. Dopo la confessione dell’uomo, la protagonista sembra invecchiata, come se la consapevolezza le avesse tolto quella freschezza che la caratterizzava. << Ma tu, poverina. Non riesco a dimenticare quel che devi sopportare. Durante tutto il pranzo non ho fatto altro che guardarti, non riuscivo a pensare ad altro. Quello sguardo buffo, infantile, smarrito, che io amavo tanto si è perduto per sempre. Non tornerà. Ho assassinato anche quello, quando ti ho raccontato di Rebecca… Nel giro di ventiquattro ore è scomparso. >> Ivi, p. 324.
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