
Magic Mike – The Last Dance, i luoghi al posto degli attori
February 13, 2023 0 By Gabriele BarducciNon è certo una novità che qui da questi lidi, il lavoro di Steven Soderbergh è ben più che apprezzato: onorato, centellinato, quasi studiato nell’incredibile versatilità con cui il regista riesca a districarsi e a navigare da un progetto all’altro.
Dopo aver bypassato Magic Mike XXL, lasciando la regia al suo secondo, pur firmando sempre la preziosa fotografica, Soderbergh torna alla regia del terzo capitolo di un’improbabile trilogia, ovvero quella di Mike Lane Channing Tathum), del suo passato da spogliarellista, del tentativo di cambiare vita avviando un’attività immobiliare, fallendo miseramente e dunque ritrovarsi a fare il barman per servizi di catering. Uno di questi servizi è per la bella e facoltosa Maxandra Mendoza (Salma Hayek) che, venuta a sapere per caso del passato di Mike, gli offre 6000 Dollari per vederlo danzare, giacché in piena crisi matrimoniale e con un divorzio in pieno processo e una fiamma della passione che vuole riaccendere. Da qui è un piano inclinato di situazioni che porteranno lo squattrinato e spogliarellista Mike a divenire un regista di un’opera teatrale in un prestigioso teatro di Londra, tramutando un grande Classico, in uno spettacolo per gli occhi di tutte le donne del paese.
Cosa dire di questo film che non abbiano già fatto in precedenza i due Magic Mike e Magic Mike XXL? Nulla, giacché a una ricerca anche abbastanza ricercata di una sfera sociale ed economica del primo Magic Mike, il sequel è sprofondato nella narrativa tirata a passo d’uomo pur di veicolare l’esecuzione e il corpo maschile come mero strumento di eccitazione (ricordate Elvis? Bene).
Magic Mike – The Last Dance si spoglia (!) di qualunque grammatica narrativa per regalare il one man show a Channing Tatum, non più attivo (solo due sessioni di ballo per lui), bensì nell’inedito ruolo di insegnante nel trasmettere l’arte della seduzione e dello spettacolo ad una nuova serie di ballerini.
Inutile indugiare inutilmente su una trama che ha, oggettivamente, poco da offrire e in questo contesto Steven Soderbergh ci sguazza senza problemi. La trama non è essenziale, l’inedito franchise non ha mai avuto punti in comune che non fossero il ballo e lo streap tease maschile. Ecco dunque che Soderbergh trasforma gli interni, i luoghi di esecuzione del film come delle stesse coreografie, degli ambienti vivi, fotografati all’eccellenza, dove niente è posizionato per grazia del caso, ma ha uno scopo ben preciso.
Se il ballo collettivo è al pari di una grande festa, il passo a due è un ballo sensuale, più intimo, una novella storia d’amore tra i due protagonisti che sboccia proprio in questi luoghi, in questi scenari al chiuso dove esplode la magia e l’ormone viene incatenato tra quattro mura, fino ad esplodere nella classica esibizione finale, vero motore attraente e seducente.
Una trilogia cinematografica improbabile, fuori contesto e in alcuni momenti anche fuori tempo massimo, ma ci va bene così, anche in un plebiscito di banconote da un dollaro, sudore ed estasi femminile, ci si ritrova sempre quella voglia di fotografare e portare a casa la miglior scena possibile. Il resto sono solo parole mediocri battute a macchina su un foglia bianco che firma la sceneggiatura, atta a giustificare la scena seguente.
`Cause tramps like us, baby we were born to run"
- Bruce Springsteen
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