
L’incipit di The Whale vale quanto il resto del film: poco
March 6, 2023 0 By Simone TarditiLa gente è strana, i cinefili non parliamone e, in generale, le reazioni del pubblico sono imprevedibili, per non dire spesso inspiegabili. Siamo reduci da una campagna mediatica che per due mesi ha inchiodato sulla croce l’ultima creatura di Damien Chazelle, ma cos’ha fatto di male il bistrattato Babylon? Non è questa la sede per discuterne, tuttavia è d’uopo soffermarsi sul suo incipit, dal momento che per molti ha costituito la (prima) pietra della vergogna, avvicinandolo a quello di un film invece perlopiù amato fin da quando è stato proiettato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia: The Whale di Darren Aronofsky.
Mettiamo le mani avanti: Brendan Fraser ha ipotecato l’Oscar già da qualche mese a questa parte perché la storia della sua vita e il personaggio da lui interpretato richiedono che sia così. Ci sono tutti gli elementi per una vittoria facile: personaggio discriminato per il suo aspetto fisico che però nasconde un cuore splendido (pur con arterie occluse dal colesterolo), attore in declino, dato carrieristicamente per spacciato da anni, il quale ha una rivalsa professionale all’interno della comunità losangelina che l’ha emarginato senza, di fatto, esiliarlo mai. A true hollywood story, ecco. I primi minuti di The Whale mettono a nudo il protagonista ritraendolo esattamente così: obeso tanto da non riuscire quasi ad alzarsi, immerso in un tugurio di sporcizia, nell’atto di stare avere un infarto mentre si masturba di fronte a un porno (difficile pensare ci riesca davvero a causa dei problemi in cui versa il suo fisico, il regista fortunatamente ci risparmia la visione dell’organo stimolato). Questo è come ci viene introdotto Charlie, né più né meno. E non si sa se ridere, rimanere scioccati, soffrire o empatizzare. Una cosa è chiara: è un incipit che può compromettere il proseguo della visione. La prima impressione è un po’ quella che conta, no? Eppure, secondo i dogmi del politicamente corretto, quasi da nessuna parte si è evidenziata la problematicità – e non è neanche l’unica – di una scena così.
Tornando a Babylon, per quante settimane e per quanti anni si tirerà ancora in ballo il pachiderma che caga “in faccia allo spettatore” nella sequenza d’apertura? O, meglio, perché ci si è soffermati più su questo momento che sulle restanti tre ore di film? Sul piano della costruzione del racconto, Chazelle lavora più d’ingegno rispetto ad Aronofsky. L’elefantiaca defecatio è il viatico indispensabile per capire (quindi accettare) quel che Babylon è, ovvero un viaggio nei meandri più repellenti dello show business americano. The Whale, che a tratti pare più una fiction tratta da Vite al limite che un film vero e proprio, compie un marchiano errore nel presentare il suo protagonista con le modalità sopra descritte non per quello che viene mostrato, bensì per il fatto che quel che ci viene propinato non è esemplare per il personaggio in sé, tra l’altro già discriminato di suo, né serve per il proseguo della vicenda poiché non si ritorna mai su quel tracciato. Di fatto Aronofsky non aiuta Charlie a farsi corpo e anima di un sentire che possa essere comune a chi si trova di fronte allo schermo. Ed è uno sbaglio. Lo è anche aver dato apparentemente così tanto peso alla letteratura quando di Moby Dick non rimane neanche lo scheletro, dei grandi romanzi nella libreria del protagonista (c’è quasi l’opera omnia di Thomas Pynchon) non viene fatto alcun riferimento e l’unico libro che si vede maneggiare con devozione e rispetto è La Bibbia, fatto che getta una strana luce su tutto The Whale quale ipotetica operazione di proselitismo cristiano e fa rimpiangere un titolo divisivo e malsano come Madre!. Infine, considerato che il film vorrebbe educare sullo stare al fianco di chi è in difficoltà (al di là delle colpe, al di là dei pregiudizi, al di là …), il più grande fallimento di The Whale è quello di far passare il messaggio che l’autolesionismo è comunque una manifestazione della propria liberta e che, perciò, va rispettata. Charlie sta male e nessuno di coloro che gli fanno visita chiama il 911 per compiere un gesto banale: aiutarlo, davvero.
Into this world we're thrown".
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