Gli occhi di John Hammond

Gli occhi di John Hammond

April 26, 2023 0 By Gabriele Barducci

Nel romanzo di Michael Crichton, John Hammond è un personaggio estremamente ripugnante.

Gira il globo con un piccolo dinosauro modificato geneticamente, tale da essere grande quanto un chihuahua, biglietto da visita imprescindibile da tirare fuori ad ogni riunione che abbia come scopo la richiesta di fondi nella creazione del suo Jurassic Park. Immaginate l’iconica scena dei biglietti da visita di American Psycho, ma declinata con un piccolo triceratopo nella borsetta, addomesticato, reso inerme, totalmente fuori dai suoi contorni naturali.

Nella trasposizione cinematografica firmata da Steven Spielberg, il regista attua una trasformazione radicale su questo personaggio, giocando subito con le differenze: nel romanzo Hammond è il classico imprenditore senza scrupoli, interessato solo ai soldi, forse consapevole che il parco potrebbe incontrare qualche problema di sicurezza, ma chiude gli occhi, anche davanti la presenza dei nipoti, dimostrando un certo odio per i bambini giacché incapaci di trattare bene le cose altrui.

Spielberg in qualche modo rende lo spazio tra queste due generazioni assai più labile: anziani e bambini condividono il concetto della morte. I primi si avvicinano ad essa, mentre i secondi nascono dall’oblio del nulla, venendo letteralmente creati, un piccolo Big Bang di chimica, molecole, l’eredità di una coppia che diventa tangibile.

Il John Hammond cinematografico ha un’eredità, sappiamo che la figlia, madre dei due nipoti, sta affrontando un divorzio, ma oltre quella biologica, Hammond ha bisogno di veder realizzato un sogno, quello di un parco giochi anche più grande di Disneyland, con delle attrazioni uniche.

Nessun prezzo esorbitante, perché tutti devono gioire di queste creature, prevedendo magari anche giornate con “prezzi popolari”.

I bambini come gli anziani condividono anche la follia immaginaria di chi o non conosce o vuole eliminare alcune barriere. I piccoli non conoscono e non vogliono limiti, gli anziani hanno passato talmente tante decadi su questo sasso spaziale che ora vogliono rompere queste regole, regalare al mondo qualcosa di estremamente bello.

Impossibile dunque non provare empatia con il John Hammond cinematografico, giacché veniamo totalmente coinvolti dalla sua felicità ed entusiasmo. Noi siamo gli stessi spettatori paganti che Hammond vorrebbe vedere girare per il parco, mentre alzano lo sguardo verso queste enormi creature e rimanere attoniti, sfoggiando la più classica delle Spielberg Face.

Salto temporale. Abbiamo visto Jurassic Park e siamo alla fine. L’elicottero dei soccorsi è stato chiamato ed è arrivato, pronto ad accogliere i superstiti e lasciare l’isola.

Un momento di dolce senilità: John Hammond si estranea momentaneamente da tutto ciò che ha attorno per volgere un ultimo e profondo sguardo all’isola. Quello era il suo sogno più grande, annientato involontariamente da una serie di difetti di natura umana che elencare farebbe solo la felicità del dottor Malcolm. Eppure in quell’ultimo e dolce sguardo c’è tutto.

Un progetto di una vita, dei “figli” giurassici lasciati comunque al loro futuro liberi da controlli e catene, ma ancor di più, Hammond abbandono il sogno, quello di una vita, coccolato da anni, aver visto prendere il volo e poi cadere inesorabile.

Se nel romanzo Hammond muore mangiato dai suoi stessi figli, in particolare cade vittima dei tanti Compsognathus, provando anche una certa soddisfazione per aver eliminato da questo universo fittizio un personaggio volutamente dipinto come una concentrazione dei peggiori difetti dell’essere umano, dell’Hammond cinematografico ci rimane questa immagine, di questo sguardo perso nel vuoto, ad ascoltare le voci dei tanti dinosauri a cui ha dato vita e ora deve abbandonare.

Sobbalza quando Alan Grant lo prende per un braccio, non se lo aspetta, giacché perso nei suoi pensieri.

Lo stesso Grant gli dona uno sguardo compassionevole. Non riesce a provare rancore, vedendo in lui un anziano signore, forte del suo entusiasmo che, per la prima volta nel film, scopriamo aver perso, lasciandoci una dolce malinconia nell’osservare la zanzare dell’ambra, da dove tutto è iniziato.

Gabriele Barducci
Latest posts by Gabriele Barducci (see all)