
Inside: una fuga impossibile come opera d’arte
October 24, 2023 0 By Simone TarditiApplaudito da alcune frange della critica, ma non entrato ancora nei cuori di tanti, Inside è un film che ambisce a farsi opera artistica nel senso più stretto che si possa immaginare. Nemo (Willem Dafoe) è un ladro professionista che s’introduce nell’appartamento di un ricco collezionista con lo scopo di rubare alcuni dipinti di Egon Schiele. Il colpo va storto perché l’impianto d’antifurto sigilla Nemo all’interno di quelle mura, imprigionandolo. Lì, trascorrerà giorni alla ricerca di un modo per fuggire, combattendo con fame, sete, freddo, caldo e la paura di morire. Scritto da Ben Hopkins e diretto da Vasilis Katsoupis (autore anche del soggetto), il film affronta l’argomento della sopravvivenza in condizioni estreme senza mai relegare l’arte a elemento sullo sfondo, utile solo a fare da contesto o pretesto per l’azione.
Nemo è costretto a ingegnarsi per non morire. Lo vediamo mangiare tartine con paté spalmato sopra che non fanno altro che procurargli più sete di quella che ha già dal momento che l’impianto di riscaldamento impazzisce, passando da un caldo intenso al gelo polare di quando, al suo posto, si aziona il condizionatore. Dal momento che non funzionano i rubinetti, l’acqua può essere recuperata solo in quei brevi istanti in cui si attiva il meccanismo di irrigazione delle piante. Così, dalle tartine e dalla pasta dura lasciata a mollo per giorni, Nemo finisce col catturare i pesci nell’acquario, come lui impossibilitati a fuggire (e come lui e come loro, anche il piccione che rimane impigliato sul balcone). Se per sete vedremo il protagonista leccare le pareti del frigo semivuoto, Inside ci risparmia almeno la visione di lui che beve la sua urina che, però, parimenti con le feci ammonticchiate nella piscina, in più di un’occasione viene mostrata. Sulla fame, invece, il regista fa ricorso a un timbro di crudeltà: Nemo che inizia a salivare come un cane quando osserva mangiare la donna delle pulizie sulle scale condominiali attraverso il circuito chiuso delle videocamere di sicurezza.
Si può considerare l’arte come uno dei leitmotiv della carriera di Dafoe, da Vivere a morire a Los Angeles (1985) di William Friedkin a Van Gogh – Sulla soglia dell’Eternità (2018) di Julian Schnabel. Inside lavora su due piani. Su quello più immediato, porta avanti un discorso basilare sul valore delle cose. Nello stato in cui Nemo si trova, gli Schiele valgono forse più di una scorta d’acqua, di un frigo pieno di cibo e di una fonte d’aria fresca? Perché di queste tre cose avrebbe davvero bisogno, non di un lotto di dipinti, che varranno pure milioni di dollari, ma che non può vendere. Sull’altro, invece, Inside si eleva. Man mano che il film procede, il protagonista diventa una figura alla Schiele, emaciata e sempre più magra (e dire che Dafoe è tutto tranne che sovrappeso), quasi lo scheletro fosse pronto a squarciare la pelle per liberarsi di quello strato. Il viso è smunto, scavato (più di quanto quello dell’attore già lo sia di suo). Nel mostrare una costoletta scarnificata fino all’osso, uno dei pochi pasti che Nemo può concedersi, Inside sembra aprire a tre interpretazioni: l’ipotesi di un eventuale autocannibalismo; il significato biblico che soggiace a quella parte anatomica; l’idea di aver raggiunto un punto limite fisiologico oltre il quale non poter più scavare. Nel finale si avrà modo di capire che non può esserci ascensione dello spirito senza liberazione del corpo. Almeno per il protagonista. In Inside, l’arte non sarebbe quindi una via di fuga, bensì una prigione.
Into this world we're thrown".
-Jim Morrison
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