I’m a Cyborg, But That’s Ok, non solo vendetta per Park Chan-Wook

I’m a Cyborg, But That’s Ok, non solo vendetta per Park Chan-Wook

February 2, 2015 0 By Angelica Lorenzon

ima3Sud Corea, terra di kimchi, Gangnam Style e Vero Cinema.

Per quanto però stiamo parlando di una nazione a 9000 km di distanza da noi, tutto il mondo è paese ed anche il cinema sud-coreano negli ultimi anni ha dovuto sopravvivere ad action movies scarni di una qualunque trama e pellicole diabetiche che sembrano scritte da un Federico Moccia con gli occhi a mandorla.

Fortunatamente qualche autore con la “a” maiuscola è riuscito a farsi spazio ed emergere da questo mare di blockbuster, ed uno di questi è il rinomato Park Chan-wook, regista divenuto famoso grazie alla Trilogia della Vendetta (Mr. Vendetta, Oldboy, Lady Vendetta) e per aver strizzato l’occhio agli U.S.A. col suo primo film in lingua inglese Stoker.
Senti il suo nome e non puoi fare a meno di pensare a uomini messi ko con un martello, a polipi mangiati vivi ed a quell’odio viscerale che ha fatto sì che Park Chan-wook venisse etichettato come il regista della vendetta.

E se vi dicessi che quest’uomo ha diretto un film romantico e strappalacrime? Ebbene sì, avete letto bene, non solo vendetta per Park Chan-wook.
Il film a cui ora allegherò elogi a non finire è I’m a Cyborg, But That’s Ok (싸이보그지만 괜찮아, 2006).
Se il titolo vi sembra bizzarro, aspettate a leggere la trama!

 

Cha Young-goon (Lim Soo-jung) viene ricoverata in un istituto psichiatrico dopo aver tentato il suicidio tagliandosi le vene ed inserendo dei cavi elettrici all’interno dei polsi. Tutto nella norma dato che Young-goon è convinta di essere un cyborg!
Considera i medici dei nemici, trascorre le sue giornate parlando con i distributori automatici di bibite e si “nutre” di pile mini stilo dato che s’è messa in testa che il cibo potrebbe danneggiare i suoi ingranaggi interni.
Tutti attorno a lei si preoccupano del suo rifiuto del cibo, ma riceverà l’aiuto di Park Il-sun (Jung Ji-hoon in arte Rain), un giovane antisociale con disturbi della personalità che costruirà un apparecchio “riso-convertitore” che permetterà a Young-goon di nutrirsi nuovamente.

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Con questa pellicola Park cambia decisamente rotta rispetto alla Trilogia della Vendetta, esplorando nuovi territori ed approcciandosi al melodramma in maniera originale. L’abilità del regista di non esagerare con le dosi di zucchero, rende I’m a Cyborg, But That’s Ok una storia d’amore ironica ed allo stesso tempo grottesca, un’odissea nei meandri delle menti incomprese dei suoi personaggi, ribaltando i punti di vista del malato e del “sano”.
Sì perché l’ospedale psichiatrico non è più visto come una prigionia, ma come un luogo in cui ogni soggetto può sentirsi libero di esprimere se stesso, evidenziando quella diversità che il regista teneramente ammira.

Impossibile provare pena o disgusto per il ricco campionario di malati mentali presentato nel film, ma quanto un sincero desiderio di abbracciare uno ad uno ogni “residente” del manicomio. Ciò che lega tutti i personaggi è il problema dell’accettazione del “diverso” nella società, il non sentirsi parte di un gruppo, l’impossibilità di comunicare (una realtà alquanto contemporanea).
A far da contorno a questa critica sociale, sequenze esilaranti dai toni surreali ed onirici in cui il regista non rinuncia alle sue tanto amate scene di violenza, come quando Young-goon immagina di sterminare tutti i medici usando una canna di mitra fuoriuscita dal suo dito.

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Ma il nuovo approccio di Park verso l’arte cinematografica non si limita alla commedia, ma esplora anche altri generi, come la fantascienza, il mélo ed il mondo dei manga (facile notare alcune somiglianze fra la protagonista e Alita, manga di Yukito Kishiro che narra le avventure di una ragazza-cyborg).

Park gioca coi generi e le citazioni, offrendoci una favola dai colori sgargianti che riesce a toccare le più alte vette di poesia come solo il cinema orientale sa fare.
E ciò che rende ancora più delizioso questo film è la confessione del regista stesso che, di fronte alla crescita della sua piccola figlia, s’è preoccupato all’idea che ella non potesse guardare nessun lavoro del suo papà, dato che ogni suo film è pregno di rabbia e violenza. Dolce e tenero papà Park, come non amarlo?