Foxcatcher, la sconfitta del genere umano

Foxcatcher, la sconfitta del genere umano

March 12, 2015 0 By Gabriele Barducci

Gli eventi di quel 11 settembre 2001, sono ancora nella memoria di molti, del popolo americano ancor di più.
Gli Stati Uniti sono famosi per celebrare, anche in modi bizzarri, le loro ricorrenze e questo succede in molti casi, anche tramite il cinema.
Si è sentita la necessità di raccontare quel tragico incidente, mettendo al centro di tutto il singolo cittadino americano, senza protezione, disarmato e abbandonato, davanti a un evento più grande di lui. Un evento che pensava di poter controllare e che invece lo lascia vittima a 360°. Insomma, gli Stati Uniti non si sono dimostrati all’altezza delle loro promesse, il paese non è sicuro e il Sogno Americano, forse, non è mai esistito.

Una delle cose che riconosco, in un film criticabilissimo come Iron Man, è l’aver affrontato, magari con leggerezza ma molto meglio di altre pellicole, un’America post 11 settembre, la necessità e la corsa agli armamenti e con il passare degli anni (e di conseguenza, la discutibile qualità di questi cinecomics) arrivare a pensare che forse la vera minaccia non è tanto fuori dal nostro paese, ma proprio nel nostro giardino (Iron Man 3).
Il paese quindi ha bisogno di rialzarsi, avere un simbolo, credere in qualcosa, regalare al popolo quel filo a cui tenersi con tutte le proprie forze per non sprofondare nella paura dei fantasmi di quel 11 settembre.
Bennett Miller, Autore (ci permettiamo di mettere la A maiuscola) di cui si sente parlare sempre poco, ha ben capito questa situazione e già dal suo primo film Truman Capote – A sangue freddo, ha messo in chiaro la sua idea di cinema: l’America non è il paradiso, ma solo la parte più marcia e oscura di una discarica abbandonata. Vincitori non ce ne sono, solo sconfitti. Anche quando c’è quel sapore di vittoria (L’arte di Vincere) ci accorgiamo che il retrogusto è di una sconfitta amarissima, difficile da mandare giù, ma necessaria per poter andare avanti.

Nel 1996, Dave Schultz, lottatore olimpico premiato con l’oro, viene assassinato dall’amico, allenatore e finanziatore John du Pont. La storia riecheggiò in ogni parte del globo, sconvolse gli Stati Uniti e tenne banco per molto tempo, per poi piano piano, rimanere chiusa in un archivio.
Miller la riprende e la narra e nonostante siano passati gli anni, nulla sembra diverso da quello che è la nostra realtà e ogni tanto, il sottotitolo che abbiamo adottato qui in Italia, “Una storia americana” è quanto di più indovinato: una storia che potrebbe riassumere anni e anni di storia dell’America e del suo American Dream.

Miller lavora oltre quel “ispirato a fatti realmente accaduti”. Non pecca di cronaca ma analizza ogni piccola sfumatura psicologica dei trei protagonisti; Mark Schultz (Channing Tatum che matura sempre di più in maniera impressionante), atleta olimpionico che vive nell’ombra del fratello più titolato e più famoso Dave (Mark Ruffalo), vede nella proposta del multi miliardario John du Pont (Steve Carell irriconoscibile e mostruoso) l’occasione per staccarsi e allontanarsi dal fratello e riconoscersi singolarmente. Ma John du Pont è una persona con disturbi psicologici originati da un rapporto difficile di accettazione e di giudizio dalla madre.
Come John è attaccato alla madre, anche Mark avrà un rapporto stretto, quasi materno, con il fratello. Siamo nella dimora immensa dei du Pont, ma non ci riesce difficile diluire la vicenda e immaginando un Bates Motel e relativo rapporto morboso madre-figlio.
Ed è qui che Miller stupisce: da un racconto thriller, improvvisamente Foxcatcher si trasforma quasi in un film horror. Una dimora immensa, abitata da questo uomo che il trucco applicato su Steve Carell rende giustizia, in quanto irriconoscibile e quindi difficile da decifrare. Ci troviamo davanti una Gioconda, una Monna Lisa, cerchiamo di capire qualcosa da quello sguardo fisso, costante e perso di John du Pont ma non riusciamo a capire il vero significato di ogni sua azione. Tutto sembra freddo, indecifrabile e infatti l’intera dimora du Pont sarà piena di quadri raffiguranti visi, difficili da analizzare, come quello stesso viso che nel corso degli anni porterà a togliere la vita ad uno dei “suoi” campioni.

E’ questo il cinema di Miller, domande, sconfitti, prendere la parabola sportiva, già vista in L’arte di Vincere e aggiungerci quel brivido, quella atmosfera fredda e spettrale di Truman Capote – A sangue freddo.
Un film che più volte tocca il disagevole, ma ha la raffinatezza di narrare di un atleta tanto forte fisicamente quanto debole psicologicamente, proprio come Mark. Vedremo il film dalla sua prospettiva perchè sarà la più malleabile, la più influenzabile, perchè della bontà di Dave ne veniamo a sapere tramite pochi gesti, mentre la mente di John du Pont sarà la più enigmatica e le soluzioni serviranno a poco perchè come ripropone ancora Miller, ci saranno sempre e solo sconfitti, mai vincitori e in questo caso, è una sconfitta amarissima, una sconfitta di un paese che è sempre stato solo, che non ha mantenuto le promesse e che ha lasciato soli tutti i suoi cittadini.

Foxcatcher non è una sconfitta americana, ma dell’intero genere umano.

-Gabriele Barducci

Gabriele Barducci
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