Andare a Tomorrowland con il bancomat di Lindelof

Andare a Tomorrowland con il bancomat di Lindelof

June 3, 2015 0 By Gabriele Barducci

In una scala di valori che va da Quella folle dolce cosa chiamata amore a Dio ci odia tutti, Tomorrowland si colloca nel “tu sei quello che i francesi chiamano “les incompétents”“.
Le scale di valori, come le recensioni stesse, sono solo punti di vista, ma Hank Moody, protagonista della serie tv Californication, insegna che non si deve mai fare sesso con una sedicenne; va bene sognare di farsi fare un pompino da una suora ma sesso così, no.

Tomorrowland prende la formula vincente per l’epoca dei Pirati dei Caraibi e la ripropone: prendere un parco a tema di Disneyland e crearne un film. Con Pirati dei Caraibi il successo fu imminente. Tante la bambine pronte a sgrillettarsi per Johnny Depp, tutte fanZ decennali che fino al giorno prima faticavano a ricordare il nome delle Winx, ma tant’è, il boxoffice detta legge e questa è stata “via al sequel”, ma questa volta la magia si perde in trailer pompatissimi, paragoni a Interstellar (ma dove?) e il bel faccione di George Clooney che noi di Vero Cinema amiamo follemente.
George fa il bello di mamma finto burbero ma dolcissimo di cuore, Brad Bird dirige bene e Lindelof sembra avere un cervello ibernato in una dimensione parallela dove il suo conto in banca aumenta parallelamente alle stronzate che scrive.

Poi arriva lei, Raffey Cassidy. Bimbetta incantevole, occhi grandi e profondi, bel sorriso.
Si presenta.
– Chi sei?
– Sono Athena.
Mezzo pubblico, noi della proiezione stampa, ride. Rido anche io. Ma poi continua la presentazione.
– Io sono il futuro.
Chiudo gli occhi. Forse mi addormento, teletrasporto l’attenzione altrove, un sogno, forse in uno studio, è notte, piove. Vedo Lindelof davanti il suo laptop. Sta scrivendo la sceneggiatura di Tomorrowland e ha appena digitato la parola “ATHENA”.
Un lampo.
Lindelof guarda fuori. Tutto ok.
Continua a battere sulla tastiera “IO SONO IL FUTURO”.
Ancora un lampo. Questo colpisce l’albero davanti casa di Damon, si stacca da terra e precipita con violenza verso di lui. Abbatte il muro. Il nostro sceneggiatore preferito si getta con scatto felino verso il portatile, lo prende in braccio e lo stinge a lui mentre scivola nell’angolo della stanza. Il buco è enorme. La pioggia comincia a entrare in casa, ma la sceneggiatura doveva essere portata in salvo.
Mi sveglio e sono ancora in sala, ho dormito pochissimo. Un sogno. Forse. Ma il faccione sorridente di Lindelof è lì nella mia testa, fiero. Cosa ho fatto di male?

Raffey Cassidy avrà anche 13 anni ma mi ha rapito il cuore. Quelle lentiggini o non so.
Al fine della morale, mi rendo conto che è abbastanza perverso vedere un film aspettando che arrivi lei, gran talento, ma bisogna fermarci qui. Non siamo gli Hank Moody del cinema e non lo saremo mai. Mangiamo abbastanza schifezze tra un Tomorrowland e un Avengers che non abbiamo tempo per informarci dei milioni per cui uno tipo come Lindelof dovrebbe essere pagato oro per scrivere queste… ‘cose’.
Lei o il buon George non salvano un film povero di contenuti che si mostra fallimentare già durante le prime sequenze, proponendo un racconto troppo teen, potenzialmente interessante ma che si perde in una sequenza, lunga circa 120 minuti, di scene, battute, masturbazione di CGI, buoni sentimenti e classica morale finale su come approcciarsi al mondo, anche se fa schifo e puzza.

Gente come Scott Cooper è riuscito a raccontare perfettamente come vivere in mezzo a tutta questa schifezza. Tomorrowland neanche la tocca, ci passa accanto, dice “che puzza” e tira su il finestrino mentre alla radio c’è l’ultimo singolo di qualche pseudo-rapper. Alla guida c’è Clooney.
Forse questo vale il prezzo del biglietto. O forse no.
Lindelof, malimortaccitua.

Gabriele Barducci
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