
#ALLMYMOVIES, l’ultima mattata di Shia LaBeouf
November 13, 2015Angelika Film Center di New York. Shia che guarda se stesso, noi che guardiamo lui che guarda se stesso. I suoi occhi sono rivolti verso lo schermo del cinema, che è nella nostra stessa direzione, solo un po’ più in alto. Siamo il retro della poltrona che sta davanti a lui. Non siamo spettatori anche noi, non vediamo nulla di quello che viene proiettato. Siamo parte del cinema stesso. Siamo -per così dire- parte dell’arredamento. Siamo lo specchio di Shia. Siamo il burro dei popcorn incollato sulla sua barba. Siamo le caccolette nei suoi occhi. Siamo il cappuccio bianco che ha in testa. Siamo il pelo stile Chewbacca del suo giaccone.
Anche quando Shia va a fare un refill totale di Coca-Cola o a prendersi qualche snack, siamo sempre lì. Non si possono distogliere gli occhi da quella poltrona vuota semplicemente perché non lo è. Lui è lì, c’è comunque.
Il filososo Louis Marin ha coniato l’espressione di “presentificazione dell’assente”. Shia c’è senza esserci.
Ad un certo punto, dopo essersi ripetutamente addormentato durante un capitolo della saga Transformers, Shia si alza e va sul fondo della sala a coricarsi, si toglie la giacca, la appallottola e la usa come cuscino. Una pennichella provocata da Michael Bay non solo non gliela può togliere nessuno, ma è sacrosanta.
Dallo streaming si vede solo un macchia bianca con un cerchio rosso, un grosso pixel, contro il muro.
È Shia che fa la nanna.
C’è qualcosa di voyeuristico nel guardare qualcun altro che non sa di essere guardato, ma non solo -citando Hitchcock– “tutti siamo un po’ dei voyeur“, ma Shia è lì per essere visto. Sa che lo stiamo guardando, anche se forse non riesce a comprenderci.
Alla luce di ciò, i suoi comportamenti sono genuini o sta recitando? I suoi gesti sono spontanei? Non c’è nulla di naturale quando si sa di essere filmati.
Shia però sembra davvero un bambino felice quando guarda Surf’s Up, ingozzandosi di caramelle fluorescenti senza smettere di ridere. E noi ridiamo con lui, anche se il film non lo stiamo vedendo, ma lo stiamo rivivendo nei suoi occhi.
29 film in 3 giorni, praticamente tutti di fila, senza pause, compreso l’ultimissimo Man Down che è ancora in attesa di distribuzione. Dal più recente al più vecchio, in un percorso a ritroso per vedere chi si è stati. Shia diventa un po’ come Benjamin Button. O come Keir Dullea in 2001: Odissea nello Spazio. Compie un lungo viaggio, attraversando un tunnel temporale, fino a rinascere bambino.
Il senso di sicurezza che l’interno di un cinema, con le sue poltrone di stoffa scura, può infondere in un cinefilo è pari a quello di un credente che entra in un luogo sacro. Un cinema è un tempio inviolabile, una macchina del tempo, un laboratorio per la criogenesi.
E Shia sta imbalsamando il tempo. Il flusso ininterrotto d’immagini dello streaming e dei film danno senso al tempo e lasciano traccia di esso, un frame alla volta.
L’esperimento di #allmymovies rivoluziona il concetto di web-evento legato al Cinema, ribaltandolo. Infatti, se lo si analizza da una certa angolazione, cioè quella di chi guarda e non vede, non succede niente. Non c’è nulla di propriamente cinematografico in uno streaming ininterrotto di circa 72 ore, eppure tutto rimanda al Cinema: il luogo, le immagini in movimento, i ricordi, il tempo che passa, il tempo passato, chi siamo stati e chi siamo adesso.
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