
Piangere diamanti: un primo anno di Vero Cinema
November 15, 2015L’immagine è questa: chiacchiere tra studenti universitari di Cinema, fin troppo spocchiosi e arroganti, ma comunque sinceri quando parlano dei film a loro più cari. Un’aula vuota e una lezione bellamente saltata per qualche motivo. Si fanno liste sulla lavagna, si evocano film, ci si scambia consigli, si recitano monologhi, si riguardano scene sullo smartphone. Si parla. Si fa gli spacconi. Ci si diverte. S’incornicia un istante di tempo che un giorno si cercherà di rimettere a fuoco, sorridendo.
“Vero Cinema” nasce dove l’essere umano ha compiuto la sua conquista più grande: la genesi della parola, la comunicazione tra un individuo ed un altro.
La coniazione dell’espressione “Vero Cinema” avviene con un regista nello specifico: Michael Cimino.
Si parla di lui e della potenza indescrivibile de “I cancelli del cielo”, un tipo di Cinema che non si fa più, con quella maniacale cura per i dettagli tale da rendere meraviglioso ogni fotogramma, quasi come se fosse un quadro dell’epoca. Cimino era capace di aspettare anche una giornata intera perché il cielo partorisse le nuvole che lui voleva filmare. “I cancelli del cielo”, nella versione americana, è un film straordinario e unico.
Steven Soderbergh ha deciso di fare il regista dopo averlo visto.
Poco prima di morire D. W. Griffith, colui che ha reso il Cinema una forma d’arte, disse che il Cinema aveva perso la sua bellezza perché alla gente non interessavano più le foglie mosse dal vento. Era il 1948.
Un’esagerazione? Dal suo punto di vista, no. Dal nostro, sì.
Ribolle però nelle sue parole una verità indubitabile. C’è qualcosa che è Cinema e qualcosa che non lo è.
“Vero Cinema” può essere un’etichetta (ve lo ricordate il discorso di Michael Keaton in “Birdman” alla rinsecchita ed arida critica teatrale?), ma può anche non esserlo.
“Vero Cinema” è per me quello che non è per te, è per noi quello che non è per voi. Non è universale.
I nostri giudizi sono lontani dall’essere autorevoli perché non vogliono esserlo in primo luogo. Cosa c’è di peggio del critico “puro”, quello che non sa più distinguere un film da un altro perché è ancorato ad un modo di fare Cinema che non esiste più e che non ha più senso prendere per modello. Li leggete, li sentite, li guardate, ci parlate quando vomitano termini ricercati per descrivere qualcosa che non hanno seguito e che non hanno capito. La maggior parte di loro si addormenta in sala, arriva in ritardo o esce prima.
Dinosauri inaciditi dal tempo passato, senza una gioia nella vita, sempre pronti a massacrare a prescindere un “prodotto di massa” solo perché accessibile a tutti e a masturbarsi invece con quel cinema fintamente autoriale fatto da nevrotici intellettualoidi.
Il Cinema nasce come intrattenimento e siamo contenti che non si sia fermato lì, ma è nella cultura popolare che si generano, proliferano e si diffondono quegli usi e costumi che facciamo “nostri” giorno dopo giorno. Siamo lo specchio di ciò che noi stessi abbiamo creato.
Cercare unicamente qualcosa di più alto, disprezzando tutto il resto, vuol dire chiudere gli occhi sul mondo e precipitare in se stessi. È quando si perde la capacità di osservare e di decifrare, di parlare e di ascoltare che ogni cosa inizia a non evolversi, a fossilizzarsi.
Con “Vero Cinema” vogliamo essere liberi di parlare di “Star Wars” e, allo stesso tempo, di “Cosmopolis”.
Di “Moneyball” e di “Margin Call”.
Di “Enemy” e di “Interstellar”.
Di “Magnolia” e di “The Green Inferno”.
Di “Old Boy” e di “Suburra”.
Di Iñárritu e di Sorrentino.
Di Hitchcock e di Peckinpah.
Di Polanski e di Herzog.
Di Refn e di Ozu.
Di Leone e di Ayer.
Di Friedkin e di Tarantino.
Di Kubrick e della Coppola.
Dei Coen e dei Wachowski.
Di tutto ciò che per noi è “Vero Cinema” e di cui non possiamo fare a meno di parlare.
Per ultimo, ma non meno importante, volevamo ringraziare le altre firme che negli ultimi mesi si sono aggiunte al progetto. Questo è un chiaro segno della crescita di Vero Cinema, nel dare diversi punti di vista e arricchire sempre di più, questa piccola avventura.
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