Carol, le pieghe dell’amore saffico

Carol, le pieghe dell’amore saffico

January 5, 2016 0 By Simone Tarditi

La perfezione formale è sempre più rara nel cinema hollywoodiano d’oggi, che spasmodicamente scorre veloce, senza dare attimi di respiro. Carol è stato un progetto osannato ancor prima che avesse un titolo, quando era ancora un Untitled Todd Haynes Project sulla pagina di IMDB e si sapeva solo che era ambientato negli stessi anni di Far from Heaven, un folgorante ritratto femminile nella provincia americana repressa, reprimente e repressiva degli anni ’50, tra famiglie-facciata, malelingue e intolleranza.

Ispirandosi ai film di Douglas Sirk, recuperando e resuscitando il compositore di colonne sonore Elmer Bernstein, applicando le medesime tecniche cinematografiche in termini di fotografia dei tempi, Todd Haynes ha insegnato a se stesso a come confezionare nel nuovo millennio un film, Far from Heaven, che esteticamente replicasse gli anni ’50. E magnificamente vi è riuscito. Per ripetere questa magia più di un decennio dopo, con Carol si è trattato semplicemente di rodare una macchina già funzionante ed assemblata. E meravigliosamente vi è riuscito di nuovo. E, in mezzo a queste due pellicole, ha anche scritto e diretto Mildred Pierce, una mini-serie tv di 5 episodi con Kate Winslet. Stessi temi, anni, stile.

Todd Haynes, quindi, non solo ha compiuto l’impresa di narrare oggi delle piccoli-grandi storie americane di meta ‘900, ma ha incapsulato il tempo, scollegandolo dal presente e riportandolo indietro di decenni. Ed è una magia inesprimibile, che si dispiega fotogramma per fotogramma.

Nel suo nuovo film, Carol (Cate Blanchett) è algidamente passionale e combattuta tra chi sa di essere e chi la società vorrebbe che fosse (quella madre-moglie, di “proprietà” di un marito crudelmente innamorato), mentre Therese (Rooney Mara) deve ancora spalancare gli occhi sul mondo, che scruta, osserva e conosce per mezzo della sua macchina fotografica. Un incontro fortuito tra le due donne, una voglia reciproca di esplorarsi a vicenda, una comune consapevolezza di non potersi adeguare a ciò che gli altri vogliono, una complicata relazione che nasce e si consuma.

Entrambe hanno bisogno d’amore, ma in maniera diversa. La prima vuole riceverlo, la seconda vuole offrirlo, e nell’offrirlo ha bisogno di trovare nell’altra una guida più adulta.

Si finisce a tal punto col perdersi nelle scenografie curatissime e nella raffinatezza di ogni singolo gesto, che la storia non colpisce e non infiamma perché la si riconosce già in altri frammenti di vita ed è un ritorno analogo a ciò che queste due pellicole di Todd Haynes c’insegnano: andare alla radice delle cose e non rimanere stupiti dalla loro essenza, ma stupefatti dalla loro bellezza.

Carol, come Far from Heaven, vince su molteplici piani perché non solo ritrae una realtà così storicamente vicina alla nostra (gli anni ’50 sono appena dietro l’angolo), ma lo sguardo dei suoi protagonisti (le due “eroine”, Carol e Therese, ma anche i torvi personaggi che su di loro puntano il loro dito moralizzatore) può essere rintracciato nel mondo su cui ci affacciamo ogni giorno.

In Far from Heaven, si voleva sottolineare maggiormente il problema del razzismo e dell’integrazione della comunità nera in un mondo di bianchi, ma veniva tratteggiata anche la storia di un amore omosessuale (il marito della protagonista, interpretata in maniera eccellente da Julianne Moore), tema che in Carol spazza via ogni altro.

Sul comune asse dell’ignoranza si collocano omosessualità e razzismo, che sono solo questioni di prospettive, legate atavicamente all’ignorante e bigotta realtà sociale in cui vivono i personaggi di questi due film. Ma ogni conoscenza che si basi su di un rapporto di prospettiva ha bisogno di un sostrato culturale su cui fondarsi, altrimenti crolla sotto il peso dei falsi concetti da cui è formata. Far from Heaven e Carol non sono film con la pretesa di ergersi a paladini del cambiamento, ma sono testimoni di un’epoca e di tutto ciò che vi era contenuta in essa. E si può imparare molto nel vedere quanto le cose siano -per certi versi- cambiate, mentre altre son rimaste esattamente tali e quali. Ed è su queste ultime che bisogna lavorare maggiormente. Il progresso è un percorso difficoltoso, ma fondamentale per una qualsiasi forma di evoluzione.

L’omofobia è una piaga sociale, ma la situazione generale sta lentamente, ma progressivamente e sistematicamente cambiando verso il meglio. Che un film come Carol – assieme a recenti pellicole come Freeheld, I Am Michael e altre – riceva i finanziamenti per essere fatto, dopo anni e anni di inutili trattative e di accantonamenti dell’ultimo istante, proprio ora, all’indomani di strutturali cambiamenti in positivo nel percorso di riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali, è un fatto da non trascurare.

Che ancora una volta il cinema sia specchio del mondo reale, anticipandolo o proiettandone un’immagine attuale, non si può non notare.

Questi due film di Todd Haynes sono un miracolo in grado di illudere lo spettatore a tal punto da rompere quel filtro di finzione che -in quanto prodotti filmici- conservano in sé.

Far from Heaven e Carol vivono su di un piano slegato da ogni altro, come sospesi dal tempo. Qualcosa di tristemente sempre più raro e a cui dovremmo approcciarci con la stessa delicatezza con cui ci son stati donati.

Simone Tarditi