Il Piccolo Principe, dare un peso all’essenziale

Il Piccolo Principe, dare un peso all’essenziale

January 9, 2016 0 By Gabriele Barducci

Produzione francese, il regista di Kung Fu Panda e lo zampino di Hans Zimmer nella colonna sonora.

La missione di portare al cinema il celebre romanzo di Saint Exupéry era una delle più azzardate, semplicemente perchè Il Piccolo Principe è un’opera che tutt’ora suscita dolcezza, speranza e risulta anche criptica nel mondo in cui si è presentata al pubblico, avvicinata anche al triste destino (quasi simbolico) della morte dello scrittore stesso.
Quindi, come portare un film al cinema tratto da un romanzo che sembrava vivere (e restituire quella poesia) soltanto nelle pagine di appartenenza?

La scelta ricade su diversi stili narrativi e soluzioni visive, alcune indovinate, altre meno.
Il rischio di un errore alla Lo Hobbit era dietro l’angolo, dove il film superava di gran lunga il materiale cartaceo, che implica, come abbiamo visto, delle aggiunte originali che hanno decretato il totale fallimento della seconda trilogia Tolkeniana e Il Piccolo Principe purtroppo affronta lo stesso tasto, dove su 100 minuti, si dividono esattamente in una prima parte originale, classica, dove la nostra bimba protagonista ascolta dal vecchio aviatore la storia del Piccolo Principe e una seconda parte che vive del morbo del sequel, la stessa bimba che va alla ricerca del Piccolo Principe in un pianeta grigio e dittatoriale, come il regime di crescita organizzata che aveva imposto la madre per lei, dove troviamo tutti i personaggi storici in altri abiti e un Piccolo Principe creciuto, assorbito dalla mediocrità e che sembra aver scordato ogni saggezza che aveva presentato all’aviatore nel deserto.

Questa seconda scelta impone di dare un senso a quel famoso essenziale che tutti noi sappiamo essere “invisibile agli occhi”. La magia si perde, la poesia di una semplicità di mezzi che aveva Saint Exupéry si mischia ad un sempre buon lavoro di computer grafica e animazione che troviamo troppo elaborata a tavolino. Scene da far brillare gli occhi e lo zampino di Hans Zimmer, come già citato, porta un’emozione troppo forzata, che si perde con una narrazione che in più volte sembra inserire spunti narrativi per poi troncarli e non seguirli più.

La grande pecca è non aver realizzato tutto il film in stop motion, infatti nella prima parte del film, le sequenze di racconto da parte dell’aviatore della storia del Piccolo Principe sono realizzate magnificamente in stop motion e soltanto quelle scene riescono nella difficile impresa di trasportare il cinema e la poesia del racconto sullo schermo. In quelle pochissime sequenze si mangia pagine e cinema come mai era successo negli ultimi anni al cinema.

Se Il Piccolo Principe, ad oggi è ancora oggetto di interpretazione, il film cerca in qualche modo di divincolarsi il giusto per prendere una sua identità, almeno sul piano narrativo. Può piacere come operazione che si contestualizza perfettamente nel cinema che siamo abituati a vedere oggi, ma perde gran parte della poesia che ci affascinava da piccoli.

Gabriele Barducci
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