Creed, il sapore della gloria

Creed, il sapore della gloria

January 14, 2016 0 By Simone Tarditi

Era il 2006 ed eravamo tutti più giovani quando abbiamo visto scendere dal ring Rocky Balboa, alter ego a tutti gli effetti di Sylvester Stallone, che per sei volte (ora sette) ha interpretato il personaggio che lui stesso ha creato. Credevamo sarebbe stato l’ultimo film. Quella sua mano da pugile di sessant’anni suonati (ora quasi settanta, per quanto possa sembrare impossibile), che ne stringeva un’altra, la nostra, tra il pubblico adorante, aveva chiuso in maniera apparentemente definitiva una saga protrattasi per trent’anni.

Doveva finire lì, quasi dieci anni fa. Poi se ne esce fuori un giovane sceneggiatore e regista, nato nel 1986, un anno dopo a Rocky IV (quello di “Ti spiezzo in due”, tanto per intenderci), con un’idea tanto folle quanto semplice ed efficace: se Rocky non può più combattere perché è troppo vecchio, perché la sua eredità non può essere raccolta da qualcun altro, che Rocky può aiutare a diventare un campione? Una prassi già ampiamente sperimentata in tutti i capitoli della saga, soprattutto nell’amaro e -per certi versi- fallimentare Rocky V, un film talmente squinternato e fuori strada da spingere Stallone a farne un sesto, sedici anni dopo, cioè quel Rocky Balboa che doveva chiudere tutte le porte e che così non è stato.

E se questo campioncino in erba fosse niente meno che il figlio di Apollo Creed, amico-rivale proprio di Rocky? Eccoci a quindi a parlare di Creed – Nato per combattere.

Adonis (Michael B. Jordan), figlio di Apollo Creed (ricordate tutti che fine ha fatto in Rocky IV, no? Ah no? Vi ci vuole una maratona dell’intera saga, allora!), vuole seguire le orme del padre e farsi strada nel mondo della boxe. Bisognoso di una vera guida che lo segua in un percorso di formazione personale, oltre che sportiva, si rivolge a Rocky (Sylvester Stallone, e chi altro sennò?) per essere allenato.

Ben presto però, sarà lo stesso Adonis a dare una mano al suo nuovo mentore, rimasto solo e bisognoso di aiuto più che mai.

Il giovane film-maker, quest’anno trentenne, citato poco prima è Ryan Coogler, autore dell’apprezzato Fruitvale Station, che ha insistito a lungo per convincere Stallone a tornare a vestire i consumati panni di Rocky Balboa (non solo Creed – Nato per combattere è il primo spin-off della saga, ma è anche il primo film non scritto da Stallone).

Se nulla di negativo si può dire sul lavoro fatto da Michael B. Jordan, a lasciare il segno e a dare nuove impressioni del suo personaggio è Sylvester Stallone, che finalmente sembra accettare gli anni che passano, rinunciando alla fisicità di un tempo per scoprire un lato di sé molto più credibile. Rocky è ormai un vecchietto solo e malato, con un figlio fuggito in Canada, i costi sempre più alti di un ristorante che miracolosamente sopravvive in un’America allo sbando economico (le cui avvisaglie già s’intravedevano nel degrado urbano di Rocky Balboa), Paulie e Adriana morti e sepolti, che deve fare i conti con la caducità della vita e con la sensazione di non stare lasciando nulla come eredità per le generazioni future.

E quando il futuro bussa alla porta di uno della vecchia guardia, ricco di preziosi insegnamenti, non si può non lasciarlo entrare e sconvolgere positivamente una vita che volge, lentamente, verso il tramonto.

A guardarlo bene, il cinema hollywoodiano a noi contemporaneo vive sempre più di quell’effetto-nostalgia che si esprime in citazioni, velate o manifeste, di altre pellicole precedenti o in recuperi di tematiche e modalità di storytelling che in passato hanno goduto di un successo che oggi si vuole sempre più replicare.

Tanto per fare un esempio, prendiamo il più recente capitolo di Star Wars, già campione di incassi in ogni angolo del pianeta e in grado di infrangere più record di qualsiasi film venuto prima, facendoci piombare in un nuovo anno zero della storia del cinema. Qui viene collocata una pietra miliare del modo di alimentare un fenomeno socio-culturale, oltre che economico, con la quale bisogna d’ora in avanti confrontarsi.

Il Risveglio della Forza è un prodotto creato artatamente per somigliare al suo antecedente più remoto, il film del 1977 che ha dato il via a tutto quello che sappiamo, a tal punto da non avere quasi una sua esistenza indipendente da un qualcosa di già noto e ben conosciuto da chiunque. Il copia-incolla è piaciuto praticamente a tutti, anche a chi si professa fan hardcore dall’alba dei tempi, perciò la Disney ha centrato il bersaglio ancora una volta. Big money all over the world. Va bene così.

Perché allora un film più modesto come Creed – Nato per combattere risulta comunque, non solo più onesto e fedele alla saga in cui innesta le sue radici per assimilarne linfa vitale, ma in qualche modo forte a tal punto da potersi staccare da essa e vivere anche slegato dai precedenti capitoli?

Una possibile risposta è che Coogler e chi l’ha sostenuto in questo progetto abbiano voluto rischiare di essere derisi e di fallire pur di raccontare la stessa storia di sempre (la scalata di un pugile verso il successo), ma facendolo in un modo diverso, inserendo tematiche nuove, arricchendolo di spunti e idee già presenti negli altri film, ma di mostrarle sotto una luce nuova.

E se già di per sé il film è inattaccabile da un punto di vista tecnico (regia e montaggio notevoli), la sua forza non si esaurisce qua, ma viene sprigionata totalmente attraverso due storie umane (quella di Adonis e quella di Rocky) per le quali è difficile non provare empatia, soprattutto se si è sempre avuto un occhio di riguardo per i sei film precedenti, presi per quello che sono.

Se c’è stato di recente un vero risveglio della forza nel cinema mainstream hollywoodiano, va rintracciata qui. Il vero settimo capitolo di una saga uscita nell’ultimo anno è Creed – Nato per combattere, altro che bambocci che improvvisamente -senza aver mai tenuto prima in mano una spada laser- sono in grado di sconfiggere nemici-mammolette ben più addestrati di loro.

In Creed s’inseguono ancora le galline nel cortile di casa, si fa il salto della corda, si fa shadowboxing tirando pugni a vuoto colpendo l’aria e le uova ora si cucinano sbattute. Una piccola pecca? Sono mancati gli allenamenti coi quarti di bue appesi ad un gancio. Lì sarebbe stato davvero da “Rocky, we’re home”.

Nonostante gli anni, siamo rimasti sempre lì...

Nonostante gli anni, siamo rimasti sempre lì…

...sopra quella gradinata a guardare più lontano possibile.

…sopra quella gradinata a guardare più lontano possibile.

Simone Tarditi
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