Cartel Land, la lunga notte messicana

Cartel Land, la lunga notte messicana

February 29, 2016 0 By Simone Tarditi

cartel-landDue fari di un autoveicolo accecano il buio della notte messicana, come gli occhi di una bestia feroce di cui non si può distinguere la forma. A bordo ci sono i cuochi locali, non quelli che preparano burrito o fajita o intonano canti popolari rivoluzionari, ma quelli che cucinano metanfetamina in pieno deserto, all’aria aperta. Altro che Breaking Bad.
Vero Cinema torna sul confine tra Stati Uniti e Messico, dopo l’excursus di fine settembre 2015 riguardante Sicario (D. Villeneuve, 2015), che trovate qui. Se ancora c’erano dubbi, Cartel Land, opera del documentarista Matthew Heineman in gara agli Oscar 2016, conferma la fattura eccellente del film con Benicio del Toro tanto da rendere possibile (e doveroso) sovrapporre mentalmente moltissime delle immagini presenti in entrambi in prodotti. Fa spavento la brutalità (vera, non fittizia) del documentario quasi quanto reale sembrava quella del film, ma non terrorizza coscientemente fino in fondo.

Forse siamo noi ad essere sempre più anestetizzati nei confronti della violenza dal non scomporci più di fronte ad un lago di sangue con tanto di sorgente umana da cui sgorga il tessuto liquido rossastro o da un gruppo d’impiccati che decorano i piloni delle autostrade o da una gigante collana di teste d’uomo, ma Cartel Land ci mostra la normalità e quotidianità della morte, tale da non costituire l’aspetto più terrificante della realtà messicana. In un mondo in cui i narcotrafficanti comunicano con whatsapp o si travestono da crociati templari con tanto di spadoni e amuleti, la follia è dilagata a tal punto dal costituire un “dato di fatto”, incontestabile, ma che si può combattere.

cartel land gifCo-prodotto da Kathryn Bigelow e vincitore del premio per il miglior documentario all’ultima edizione del Sundance Film Festival, Cartel Land ci disarma completamente nei confronti di quella che è una terra allo stesso tempo insanguinata e innocente. Gli sguardi dei bambini vestiti a festa si confondono con quelli dei vigilantes, i cui fucili mitragliatori si sporgono dalle auto senza discrezione. Nello stravolgimento continuo tra bene e male, è come se l’equilibrio del traffico di esseri umani e sostanze stupefacenti fosse pur sempre una forma di stabilità e la giusta guerra a interrompere questo ciclo fosse invece un’anomalia, qualcosa da combattere.
Lo spaesamento in cui lo spettatore viene trascinato non è che quello degli uomini e delle donne del luogo, tanto chi comanda quanto chi è sottomesso, senza una soluzione possibile perché la speranza è macchiata di sangue quando si viene al mondo. Qui non si tratta di banalità del male, ma di normalizzazione di una condizione perenne di crisi, una ferita che non può cicatrizzarsi perché le viene impedito.
Il Messico di Cartel Land è ancora quella terra di lupi di cui parlava l’Alejandro del film Sicario, ma adesso ci fa meno paura, anche se dovrebbe farcene molta di più.

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Simone Tarditi