Al Pacino, un vecchio leone sul palcoscenico della vita

Al Pacino, un vecchio leone sul palcoscenico della vita

April 6, 2016 0 By Simone Tarditi

al pacino bwIl destino d’inevitabile oblio e decadenza che accompagna gli attori di Hollywood è un patto che, implicitamente, si firma fin dall’inizio. Quante volte si pensa alla carriera di attori del calibro di Robert De Niro e Al Pacino con un velo di nostalgia per i film e per gli attori che furono? Troppo spesso. Al Pacino merita però un discorso diverso da Bob DeNiro.

The Humbling, Manglehorn, Danny Collins. Cos’hanno in comune gli ultimi tre film con Al Pacino? Una riflessione sull’invecchiamento. Se Bob DeNiro a volte punta ancora sulle commedie vecchia maniera come The Intern (al fianco di Anne Hathaway) o su prodotti spazzatura come Dirty Grandpa – Nonno Scatenato (definirlo film sarebbe fargli un complimento, non possiamo), il suo collega Al Pacino, ben più legato al teatro che al cinema negli ultimi anni, ha capito quanto non possa più calarsi in certe parti e di quanto lo strumento-cinema possa servirgli a compiere più agilmente una transizione esistenziale da un’età ad un’altra e non solo un nuovo percorso nel suo mestiere d’attore.

Gli ultimi tre film con Mr. Pacino, in ordine di uscita, rappresentano un ideale trittico sulla senilità e, per quanto lontani dalle pellicole che l’hanno reso celebre, vanno inquadrate più nel percorso di un uomo che nella sua filmografia. Che ciò sia casuale o meno, fondato oppure no (purtroppo non bazzichiamo a casa sua e possiamo conoscerlo solo attraverso il medium del cinema), gli ultimi tre film che lo vedono attore protagonista sono tutti accumunati da una caratteristica comune: una riflessione sul tempo che passa, sull’anzianità.

Il tempo è un’invenzione umana, l’età è uno stato mentale e via con la fiera dei modi di dire, ma non siamo qui per questo. Siamo qui per parlare di un uomo, di un attore e dei suoi film. Questo è quanto.

Smarrimento – The Humbling

Gradualmente, la loro gamma di attività si era ristretta. Neppure i film, gli spettacoli doppi nei pisciatoi illuminati da candelieri nella parte nord di Broadway, li attiravano più. Ciò che sembrava loro mancare era il desiderio di accumulare esperienza”.

(Don DeLillo, Giocatori)

The-Humbling-2015-movie-posterAl Pacino ha raccontato un aneddoto su Philip Roth. Un giorno l’attore e lo scrittore si son trovati per caso ad un evento a New York. Si salutano, si riconoscono. Al è rispettoso e leggermente imbarazzato, Philip è musone e scontroso, ma forse entrambi stanno solo recitando la parte di un copione. Al ha comprato i diritti cinematografici del romanzo The Humbling, scritto da Philip, e gli dice che ne faranno un film. Philip annuisce senza pronunciar parola. Al crede di fargli un complimento dicendo che l’ha trovato divertente e prontamente e solennemente Philip gli dice stizzito “Non è divertente”. Fine. Ad oggi Al non sa se Philip abbia visto il film oppure no. Presume di sì, ma non lo sa con certezza.

Di sicuro il pubblico ha avuto modo e tempo di vederlo, il film è stato presentato al Festival di Venezia del 2014 ed è successivamente stato distribuito in molti paesi del mondo, Italia esclusa (che strano, eh?). Tra uno scarso entusiasmo della stampa e una delusione del pubblico, The Humbling ha fatto fatica a farsi apprezzare, complice anche la difficoltà di adattare un romanzo del genere per il grande schermo, problema che senza dubbio hanno avuto anche i precedenti Goodbye, Columbus, Portnoy’s Complaint, The Dying Animal e The Human Stain. Allora perché farlo? Perché continuare a cercare di trasporre per il cinema le storie e i personaggi di Philip Roth privandoli di ciò che li ha resi grandi, cioè la sua eccellente capacità di narratore? Risposta facile: i soldi, sempre loro.

Mentre scrivo, il film Indignation (tratto da un altro celebre romanzo di Roth) sta facendo il consueto giro dei festival, dal Sundance alla Berlinale, e American Pastoral (tratto da un celeberrimo romanzo di Roth, forse quello per cui viene maggiormente ricordato e per il quale ha vinto il premio Pulitzer) è in fase di post-produzione, ma lo danno già tra i favoriti dei prossimi Oscar.

HUMBLING-master675Il protagonista di The Humbling, Simon Axler, è uno smarrito e distaccato attore di teatro. Sostanzialmente, non sa più recitare o almeno crede di non esserne più in grado. Si rende conto di quanto la sua carriera e la sua vita siano state una farsa e scivola in uno stato di lontananza dalla realtà che lo circonda. Ci possiamo leggere un personaggio sia simile a Philip Roth  sia vicino ad Al Pacino. Non c’è nulla che entusiasmi Simon, nulla che lo scuota davvero, nulla che lo attiri più. Il teatro, il rifugio della sua intera esistenza, è diventato per lui un luogo nemico e il mestiere dell’attore non ha più nulla da offrirgli. Neppure i bizzarri eventi che coinvolgono anche trenini, vibratori, fucili, tradimenti, possono riportarlo ad amare la vita e la sua professione. Rimane solo uno specchio di ciò che è diventato, una collezione di maschere ed un ultimo spettacolo in cui fondere realtà e rappresentazione, verità e inganno.

The Humbling è un altro atto d’amore di Al Pacino nei confronti del teatro, dopo i fondamentali film-documentari Looking for Richard, viaggio sul e dentro il Riccardo III di W. Shakespeare e Salomé sull’omonima opera di O. Wilde, con una giovane Jessica Chastain nel ruolo da protagonista. Tutto il mondo è un palcoscenico, ma non tutti, a differenza di Al Pacino, sono stati in grado di raccontarcelo con così tanta onestà.

Perdita – Manglehorn

“Il tempo è un tormento umano; non è un’invenzione, ma una prigione”.

(William S. Burroughs, La febbre del ragno rosso)

manglehorn poster 22Manglehorn è un altro film con Al Pacino non pervenuto nelle sale italiane. È curioso vedere come il nostro paese sia lontano dall’essere vigile nell’importare e accogliere pellicole non troppo mainstream, mentre in altri paesi non ci si pone neanche il problema di dividere tra grandi e più piccoli produzioni. Ad esempio, nelle vie principali di Parigi, nel giugno del 2015, le locandine di Manglehorn campeggiavano fianco a fianco con quelle di Jurassic World in un’armonia perfetta. Veniva voglia di vedere entrambi i film nonostante l’innegabile diversità che intercorre tra di loro. Tolto il caso singolo di questo film, quella della distribuzione cinematografica del nostro paese è una costante perdita che ci pone con interrogativi senza risposta (che senso ha far uscire nelle sale italiane film come A Most Violent Year e It Follows più di due anni dopo la loro uscita nelle sale americane? Forse dietro c’è qualche reale motivo, qualche tira e molla tra produttori e distributori, qualche biblico ritardo, qualche oscura strategia di marketing, … ).

In coppia con il già citato The Humbling, anche Manglehorn è stato presentato (e massacrato) al Festival di Venezia del 2014. Nelle interviste si vedeva e ascoltava Al Pacino saltare dall’uno all’altro film come una persona che racconta quello gli è successo nell’arco di una giornata: insomma, un discorso variegato, ma unitario, come se si trattasse di una medesima esperienza divisa in due parti diverse, ma complementari.

A. J. Manglehorn è un vedovo texano a cui nulla è rimasto nella vita se non il suo lavoro di fabbricante di chiavi e la sua bianchissima gatta Fannie (che finirà con l’inghiottire una delle chiavi del suo padrone). Come nel film precedente, l’arrivo di una donna mette in crisi lo pseudo-equilibrio e la routine del protagonista. Manglehorn narra la storia di un amore perduto per sempre, con la consapevolezza che ne deriva del non poter far nulla per riportarlo indietro. Il protagonista è un uomo scaraventato in un mondo in cui non si riconosce più, assordato dal rumore della periferia americana che esplode di odio e intolleranza giorno dopo giorno.

al pacino manglehornPer A. J. sembra non esserci salvezza da questa condizione di desolazione e da una situazione di degrado nel quale è immerso. Affoga nella sua stessa amarezza e quando una mano viene tesa verso di lui non è capace di afferrarla e di permettere alla vita di fare nuovamente luce su di lui. È come se, tutto sommato, nella sua mestizia ormai si trovasse a suo agio e nulla di quello che fa può cambiare questa sua realtà quotidiana. Tra tutti e tre, Manglehorn è il film più elegiaco e crepuscolare e non bastano gli intermezzi comico-surreali con Harmony Korine, il regista di Spring Breakers qui in veste di attore, o la tenerezza smisurata di Holly Hunter a rendere questa storia meno triste e malinconica perché alla fin fine è giusto che sia così.

Divario – Danny Collins

Che noia parlare, sempre la stessa storia, io inganno te, tu inganni me. Come si mette a parlare, la gente diventa ipocrita”.

(Su Tong, Mogli e concubine)

danny collins posterDanny Collins è una rockstar annoiata, stanca di cantare i cavalli di battaglia della sua carriera per un pubblico sempre più attempato, che non vuole assolutamente ascoltare nulla di nuovo. Il cantante realizza di essere diventato niente più che una farsa, un riccone che ha venduto la sua anima a quell’industria discografica che la reso celebre, ma a causa della quale ha smarrito il suo sogno di diventare un vero cantautore. La sua vita viene sconvolta quando scopre che John Lennon gli ha scritto una lettera più di trent’anni prima, ma che a lui non è mai arrivata.

Danny Collins è apparentemente il film più buffo (“Buffo? Buffo come?”) del trittico preso in considerazione, ma la desolazione è anche qui dietro l’angolo, ben sepolta dai toni sostanzialmente leggeri (l’esatto opposto di quelli grevi di Manglehorn o di quelli cinici di The Humbling), ma palese appena il conflitto irrisolto tra un padre assente (Al Pacino) e suo figlio (Bobby Cannavale, immenso nella recente serie tv, Vinyl) inizia a costituire l’elemento narrativo principale.

Danny è un pagliaccio, la gente vuole ascoltare le sue canzoni, vuole essere intrattenuta e lui, pur accorgendosi di tutto ciò, manda ripetutamente tutto a puttane ogni qual volta prova a cambiare per davvero la sua vita e quella dei suoi cari. Al di là di tutti i dischi d’oro, della sua villa con piscina, dei party costosissimi, dell’ennesima giovane e siliconata moglie fedifraga, è un disastro umano, un cocainomane, un fallito.

danny-collins-al-pacinoIl film è una tragedia dai toni cafoni e pacchiani sul divario tra un padre e un figlio e tra un uomo e la sua immagine pubblica. Senza una soluzione unilaterale, Danny Collins evita di offrire il ritratto di un uomo che si converte, che cambia, che diventa migliore e si ferma a tratteggiare ciò che di bene può fare per se stesso e chi gli sta intorno rimanendo esattamente lo stesso di sempre, cioè un uomo diventato vittima della sua stessa fama, di cui non saprebbe viver senza, lontano decenni e decenni dal ragazzo sperduto e affamato di esperienze che è stato agli inizi della sua carriera.

 

Simone Tarditi