
Vinyl, Scorsese presenta il suo ‘Alibi’
May 2, 2016Nello scivolare nei suoi deliri ossessivi, Travis Bickle (Robert De Niro) in Taxi Driver tira giù con un morbidissimo calcio il suo televisore sul quale vengono trasmesse le immagini di uomini e donne di colore che stanno ballando al ritmo di una musica soft sospesa tra il funk e la disco.
Razzismo, intolleranza e odio riversato su chiunque si trovi sul suo percorso (tranne Betsy, lei è intoccabile) fanno parte di lui a tal punto da non riuscire più a liberarsene.
La New York ritratta nel film di Martin Scorsese è una città che ribolle di stimoli e sub-movimenti nuovi e di ogni tipo. Politica, Cinema, Musica, Economia fanno parte di un mosaico sociale in cui ogni elemento è inscindibile dagli altri. La rivoluzione punk sta buttando giù le porte, ma la musica disco inizia a muovere i suoi primi passi. Vinyl, produzione HBO fortemente voluta dal regista e da Mick Jagger, leader dei Rolling Stones, è un tassello della storia della televisione che s’inserisce in questo scenario storico-cinematografico perché, sì, non si può nascondere la natura di prodotto d’intrattenimento a metà strada tra serie tv e film.
Debitrici del frastornante e drogante caos che è stato The Wolf of Wall Street, le dieci puntate (appena concluse) di Vinyl ci ricordano con indubbia certezza di quanto Scorsese sia un maestro e allo stesso tempo ci appagano e disorientano. Lontana dall’essere stato un flop in termini di share, la serie tv non ha però raggiunto il numero di spettatori che forse ai piani alti dell’emittente televisiva si erano prefissati.

Abbiamo pianto tanto.
Spesso le opere migliori son quelle incomprese e non capite fino in fondo dal grande pubblico e non bisogna dare peso all’impatto “numerico” che hanno, ma il non completo successo di Vinyl è sintomo di qualcosa. Al di là del clamore e del divertimento assicurati, la storia del produttore discografico Richie Finestra (Bobby Cannavale) e dell’uragano di eventi che lo vedono coinvolto insieme alla sua American Century Records a tratti sembrano girare vorticosamente su se stessi, finendo con l’adagiarsi sulle premesse iniziali, che ricordiamo essere eccezionali e straordinarie.
Con ogni probabilità, Vinyl è ad oggi la migliore serie tv di questo 2016, ma c’è qualcosa che le manca ancora per essere ricordata nel tempo. Una seconda stagione è in lavorazione e sicuramente tutto acquisterà un senso maggiore, recuperando obbligatoriamente alcuni personaggi lasciati a se stessi verso la fine, come quello di Olivia Wilde, che ad un certo punto è parsa essere la reale protagonista, salvo poi eclissarsi progressivamente di puntata in puntata.
Rimandandovi all’articolo pubblicato qualche mese fa (qui), è presto ed è fuori luogo dare un giudizio complessivo su Vinyl, per ora risuonano ancora le chitarre distorte che compongono quella che è la sinfonia di una grande città, in continuo movimento.
Cerchiamo ora di soffermarci, non tanto ad un’analisi per trarne infine la giusta opinione, quanto partire da alcuni aspetti produttivi e narrativi per avanzare piano piano le diverse considerazioni.

Terence Winter prende sportivamente il suo licenziamento.
Come sappiamo Terence Winter è stato licenziato dalla HBO che ha già trovato un nuovo showrunner. Perché questo?
Lo stesso, aveva già sceneggiato un’altra serie di Scorsese, Boardwalk Empire. Parliamoci direttamente, BE aveva grandi potenzialità e lo si intravedeva già dalla puntata pilota. Non che la serie sia da catalogare come ‘brutta’, ma semplicemente, puntata dopo puntata, l’interesse andava a calare complice una direzione narrativa che sembrava non portasse da nessuna parte; una serie infinita di eventi che, oltre a non avere dei chiari collegamenti, sembravano avere l’intenzione di tirare avanti una storia senza un vero o prefissato punto finale. La stessa sensazione, purtroppo, si respira già verso metà stagione di Vinyl: lo spettatore comincia a farsi delle domande alla base di alcuni eventi raccontatoci prima che difficilmente si incastrano con l’avanzare della narrazione.
La mossa dell’HBO, di licenziare Winter, è arrivata dopo il drastico calo di ascolti che, nonostante la già arrivata conferma di una seconda stagione, ha messo in allerta la rete. Una seconda stagione con ascolti così bassi e costi di produzione così alti non possono coesistere. L’allontanamento di Winter è un segnale d’allarme che ci indica come la situazione sia più grave di quel che sembra.
In redazione, nonostante la giusta dosa di entusiasmo e dubbi, ci siamo chiesti: perché uno show del genere, non funziona negli States? Una teoria l’azzardiamo. Lo spettatore che mangia pane e serie tv, ad oggi, appena si approccia a un nuovo prodotto televisivo, già è a conoscenza di quale morte andrà incontro. Per fare un esempio semplice, tante sono state le reti televisive che in occasione dell’ultima stagione di Lost hanno cercato di prenderne il testimone, tutte floppando clamorosamente in fatti di ascolti e pubblicità. I maggiori esempi sono stati FlashForward sulla ABC o The Event per la NBC. Questo perché, semplicemente, lo spettatore medio, quello appassionato di Lost, già sapeva che prodotti del genere avrebbero preso anni della loro vita e dopo l’esperienza dei naufraghi di J. J. Abrams, non volevano tuffarsi in un’altra avventura del genere. Questo è successo, molto probabilmente, con Vinyl: sapere a cosa si andava incontro, avere la conferma di questo e abbandonare puntata dopo puntata.

Ok, ma non basta solo questo.
Il fattore ripetitivo dello show si mostra esattamente nelle stesse dieci puntate di Vinyl, in special modo, in tutta la seconda parte, le ultime cinque.
Restiamo affascinati e carichi di adrenalina nel vedere Richie assuefatto di coca e alcol, nel suo modo di incanalare questa energia nei concerti e nel salvare la sua etichetta discografica, nel cercare di portare i grandi Artisti della scena musicale sotto la sua ala e fallire miseramente, ma quando questi eventi si ripetono perfettamente, nelle stesse situazioni e dinamiche, puntata dopo puntata, qualche prurito si avverte.
Più di un fallimento, si parla di un certo potenziale che, nella prima stagione, non è esploso assolutamente. La musica, elemento che tutti abbiamo pensato avrebbe fatto da cuore pulsante di tutto lo show e relativi rami narrativi, si perde, si citano quei due-tre artisti quasi come un contentino, abbassare qualcosa di veramente potente come il Rock, quello vero, ad un livello da borghesucci annoiati. I Nasty Bits, chiaro riferimento all’arrivo del Punk (siamo a metà anni ’70), della sua irriverenza, libertà e ostruzione al sistema, è solo puntellato su idee o frasi profetiche sul successo di questo gruppo e sul nuovo sound, che sembra più esplosivo anche del Rock stesso, come quello della Disco Music, anch’essa in arrivo, che poterà per quasi 15 anni miliardi di dollari in tasca di produttori discografici e anche qui puntellata come qualcosa che sta nascendo e su cui forse, la Alibi, la nuota etichetta lanciata da Richie, fonderà la sua rinascita e affermazione, ma esattamente come loro, facciamo supposizioni, teorie, idee su uno show che sembra aver abbandonato l’euforia delle prime puntata per addentrarsi solo e soltanto su legami professionali e familiari e il continuo espandersi di crepe. Tutto questo ci porta sempre più lontani da quello che era e pensavamo fosse Vinyl.
Al contrario di quanto possa sembrare, Vinyl ci è piaciuto. Essenzialmente, ci aspettavamo di più, esattamente quella rivoluzione, quel twist che ha cercato di narrare e farci provare già dai primi minuti del pilot.
Rimandato a settembre, o alla prossima stagione, sperando che riescano a impostare un punto narrativo su cui, magari marciandoci sopra, impostare tante altre stagioni, perché attualmente Vinyl sembra un aquilone nel vento senza nessun collegamento con la terra ferma.
(Simone Tarditi e Gabriele Barducci)
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