
Onora il Padre e la Madre, il tradimento e la redenzione impossibile
June 8, 2016Sidney Lumet: uno sguardo all’America contemporanea
Onora il padre e la madre, opera-testamento di Sidney Lumet, realizzata all’età di ottantatré anni, col vigore e la freschezza propri del giovane, inaspriti dall’amarezza e la disillusione di un’intera vita dedicata all’interpretazione del volto dell’America contemporanea.
Lumet ha attraversato la società americana nel suo dispiegarsi attraverso il Dopoguerra fino ai nostri giorni, lavorando alla trasposizione in pellicola dei nodi cruciali della progressiva decadenza, di fatto irrefrenabile, dello schema di valori su cui è edificata l’intera civiltà occidentale. Al Pacino, in Serpico, era un poliziotto che lottava contro la corruzione dilagante nella Polizia di Stato, ed era perdente in partenza, condannato al fallimento, abbandonato dal resto della società, in solitudine col suo ideale di giustizia. I personaggi di Lumet sono sempre pedine solitarie gettate nella mischia a rincorrere l’esito improbabile delle loro battaglie, sono i simboli tragici del suo cinema, esso stesso una minoranza, eco solitaria di denuncia sociale dispersa nell’assuefazione delle masse.
Sempre Al Pacino interpretava il rapinatore Sonny Wortzik in Quel pomeriggio di un giorno da cani. Nel mezzo delle dinamiche di contrattazione con la polizia, Sonny non può trattenersi dall’urlare in mezzo alla folla “Attica! Attica!”, ricordando la strage compiuta dalla Polizia nel sedare la rivolta dei prigionieri nella prigione di Attica, esempio doloroso di violenza da parte delle forze dell’ordine (un tema scottante a cui il nostro cinema non ha rinunciato, Diaz di Vicari ne è un esempio eloquente).
Ed infine, come chiusa ad un necessario inquadramento di un regista tanto florido, Quinto Potere focalizzava l’attenzione sulla massiccia influenza della televisione (e delle sue spietate logiche di mercato) nell’asservire le masse, lobotomizzarle, unificarle nel pensiero, privarle di una coscienza. Qualche anno dopo, Cronenberg avrebbe realizzato Videodrome, vetta tutt’oggi insuperata del suo cinema, ampliando lo stesso discorso ad un livello più allegorico e di più rilevanza in termini sociologici.
Nota sul titolo italiano e l’idea del tradimento come apice di decadenza
Giunge infine Onora il padre e la madre, un noir che lavora invece sulla destrutturazione della famiglia, elemento fondante della società occidentale, il più antico, robusto, inviolabile simulacro dei valori tradizionali (se qualcuno ancora se ne ricorda, per quella manciata di famiglie che resiste all’orda spietata della disgregazione). Si parla di una famiglia sfaldata, che necessariamente mantiene il decoro borghese di un’apparente architettura benestante e perfettamente inserita in uno schema virtuoso. La traduzione italiana del titolo sottolinea l’idea cattolica su cui è edificata la famiglia, almeno alle nostre latitudini. L’originale Before the Devil knows rinuncia a qualsiasi forma di religione strutturata, pur rimanendo nella dimensione del male come entità metafisica, radicata nell’uomo e nelle dinamiche delle relazioni interpersonali, ossia il vero cuore dell’opera.
Scritto da Kelly Masterson, ex studente di teologia, il film si articola con la medesima de-costruzione della trama, che procede sgretolata e incastrata in blocchi di intreccio separati nel tempo e nello spazio, e ciascun frammento contribuisce a caratterizzare l’affresco di marciume che risulta nell’interezza. Due fratelli, l’eroinomane Andy (Philip Seymour Hoffman, scaltro, aggressivo, spregiudicato) e il pavido Hank (Ethan Hawke, nevrotico, inetto, meschino), nel disperato bisogno di denaro si organizzano per rapinare il negozio di gioielleria dei loro genitori. Si tratta del racconto di un tradimento, il tradimento dei figli ai danni dei genitori, un atto di dolorosa immoralità che deve pescare nella natura spirituale del male per manifestare la sua più orrenda abiezione. Il tradimento si configura come l’esito di una serie di meccanismi, resi più o meno palesi nel corso della pellicola, che ha coinvolto ogni membro della famiglia e che si è rafforzato nel tempo, un germe che ha contaminato lentamente, senza che ognuno di essi ne avesse reale consapevolezza, fino a distruggere i residui di purezza dei legami di sangue.
L’idea di danneggiare i genitori in maniera così lucida, indiscriminata, povera delle sfumature del rimpianto, rimbalza con potenza nello spettatore dalle primissime sequenze, insinuando il disagio dinanzi ad atti discutibili, così naturalmente sbagliati. Dall’inizio, quindi, si rimane sospesi in una condizione di attesa, nella consapevolezza della fatalità dei gesti, della compromissione irreversibile delle anime. Il decentramento del punto di vista, nella ricostruzione cronologica degli eventi, contribuisce a rafforzare la claustrofobia, arricchendo la vicenda di nuovi particolari che sono finestra sempre più vivida e consapevole dell’enormità della colpa dei membri della famiglia.
L’eredità del male e la dimensione biblica della vendetta
Lumet, col suo sguardo disilluso, sembrerebbe avvalorare la dimensione tragica dell’ereditarietà del male, in cui le colpe dei genitori ricadono necessariamente sui figli, senza possibilità di redenzione, sotto lo sguardo vendicativo del Dio dell’Antico Testamento (il momento esatto del finale, in cui Charles, il padre dei due fratelli, si allontana dalla macchina da presa verso una sorgente luminosa estranea agli elementi in campo, che si ingigantisce fino ad inglobarlo e inghiottire tutta l’inquadratura: assumendo il ruolo del dio, Charles non ha rimpianti per l’atto appena concluso, doloroso, controverso, eppure necessario per ristabilire l’ordine morale). Hank e Andy sono il prodotto di un male generato in tempi passati, sono cresciuti sotto la sua influenza, corroborata forse dalla società (anche se il ruolo della società apparirebbe marginale, sembrerebbe maggiormente che la corruzione morale sia insita nelle coscienze e certo, sia dilagata fino a rappresentare una stigmata sociale, talmente diffusa da essere parte integrante della totalità degli individui). Lungi dal voler giustificare gli atti compiuti nella pellicola, a Lumet interessa il meccanismo attraverso cui i padri contribuiscono a plasmare l’inettitudine e l’immoralità dei figli, non in grado di stare al mondo in maniera dignitosa.
Le note di Carter Burwell distribuiscono e dosano la rete di menzogne su cui si erige il degrado, le inquadrature congelano gli interpreti nelle loro nevrosi a stento dominate, costringendoli a soffocare il senso di colpa, crescendo la consapevolezza per ciò che è immondo nella loro coscienza, e che non può essere alleviato dalla codardia del relativismo. Le sottotrame pulsano di vita propria nel delineare la complessità di psicologie abbattute dalla corruzione, appiattite dal vizio, dalla lussuria, da speranze riposte nel sangue della vendetta più spietata.
Onora il padre è la madre è una corda costantemente tesa sui volti, ne indaga le espressioni, nel tentativo di comprendere il seme della follia che vi alberga, e al tempo stesso è articolata in un montaggio freddo, asettico, a sufficiente distanza da non sporcarsi col marciume che viene mostrato: la regia lavora sui campi stretti, ossessionata dalla malvagità, eppure se ne distacca, non scende a compromessi, la giudica con severità, e al pari del Dio vendicativo la punisce implacabilmente in nome di una giustizia inviolabile.
Sidney Lumet firma così un testamento di straordinario cinismo, in cui non esiste spazio per quegli eroi solitari che riuscivano a lottare per un ideale, inquadrati nella struttura reazionaria della New Hollywood, tanto nello stravolgimento del genere quanto nel sovvertimento delle antiche strutture di corruzione, ammettendo infine che il mondo lasciato nelle nostre mani sia dominato dall’impossibilità della redenzione.
Un ringraziamento a Roberto Linzalone e Gianfranco Montemurro, che nel marzo 2014, nel corso di una serata che rimarrà per sempre nei miei ricordi, proiettarono il film dopo averlo introdotto con alcune riflessioni che hanno contribuito in maniera determinante allo sviluppo di queste mie parole sull’opera di Lumet. Dopo la visione del film calò il silenzio. Credo fosse fisiologico che ognuno di noi provasse un senso di colpa per quello che l’essere umano sia potenzialmente in grado di concepire. Il film non ricerca una catarsi, insiste invece nel problematizzare la colpa, e nessuno può e deve uscirne purificato. Grazie per quella serata.
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