Tallulah, piccole donne fragili

Tallulah, piccole donne fragili

August 3, 2016 0 By Gabriele Barducci

Ricordate Juno, il film del 2007 con Ellen Page, diretto da Jason Reitman (a proposito, che fine ha fatto?). Questo Tallulah può considerarsi quasi come un sequel spirituale di Juno. Perché questo? O a maggior ragione, perché portare questo film su Vero Cinema?

Tallulah (Lu) è una ragazza nomade, vive e considera il suo mondo come la sua vita quel furgoncino che usa per dormire e per spostarsi di posto in posto, di paese in paese. Quando il suo ragazzo la lascia, stufo della vita di continuo vagabondaggio, lei si ritrova nella situazione di tornare a Washington per ritrovarlo, andando direttamente dalla madre di lui.
Tutto cambia quando l’incontro con una casalinga viziata e la sua neonata senza cure, porta Lu a improvvisi pensieri di responsabilità, in particolare verso quella neonata di cui nessuno si prende cura. La rapirà e la ‘rivenderà’ alla madre del suo ex ragazzo come sua nipote. Le due, sulla base di questa menzogna, si aggrapperanno l’una all’altra, mentre la polizia sarà alla ricerca della neonata rapita.

Tallulah è un film pieno di amarezza. Non tanto di quel marcio che ci piace tanto, ma un film che parla dell’inadeguatezza di essere madri e di come, le donne più forti e responsabili sono anche quelle più fragili.
Se il buon Nanni Moretti con Mia Madre ci parlava di un’inadeguatezza verso la vita, verso un evento che per quanto ci accomuna tutti, quello della morte, difficilmente riusciamo a realizzare, o il semplicistico concetto dell’inadeguatezza di essere figli, sentirsi imperfetti.
Ma ancor prima di essere figli, si è genitori e nel ruolo della creazione, la donna ha una figura principale come madre, per se stessa e per il figlio (non a caso tendiamo a dire, come Moretti, “Mia Madre”).

Tallulah è una ragazza abbandonata da piccola proprio dalla madre, che gli affida un nome in apparenza importante, di natura poetica, invece, nel suo caso, Tallulah si rivela essere la serata a tema a base di birra in cui la madre l’ha concepita. Margo, la madre del ragazzo apparentemente scomparso di Tallulah, scrittrice di successo con pubblicazioni sul valore sacro della famiglia, ha un divorzio alle spalle perché l’ex marito si è scoperto omosessuale e lei non accetta questo tradimento e non accetta il fatto che ora l’ex marito sia felice. Poi c’è Carolyn, casalinga viziata a cui interessa l’ennesimo amante invece di cambiare il pannolino a Madison, sua figlia di appena due anni.
Tutte queste donne hanno perso qualcosa e paradossalmente, il rapimento/avvicinamento a Madison, cercherà di incollare i vetri delle loro vite distrutte e tutti si incontreranno nella necessità, voglia o maledizione della maternità, per alcune un dono, per altre un peso e per Tallulah un motivo per riscattare un’infanzia mai avuta, strappata da un paese che si è sempre coperto davanti ad una bellissima e splendente bandiera americana.
E’ interessante comunque il lavoro che Ellen Page esercita sul suo corpo e sul essere donna. Dichiaratamente lesbica, oltre ad accettare ruoli di questo tipo, propone e lavora sul suo copro, sul suo presentarsi sempre come un maschiaccio e in questo risulta sempre convincente, possiamo quasi scorgere una sofferenza sul suo volto, al limite tra il vero e la finzione.
Curioso poi come Ellen Page a distanza di dieci anni, torni a lavorare con Allison Janney in questo film. Se in Juno, dove lei era la sua matrigna, discutevano sul valore di essere madri in futuro, qui affrontano il post parto, quel senso di maternità che molte hanno pur non avendo la possibilità di essere madri o di chi è madre ma sogna di vedere i propri figli morire.

Tallulah quindi non è Piccole Donne, ma Piccole Donne Fragili, in costante ricerca di aggrapparsi alla vita, chi prematuramente, chi in ritardo perché la prima mamma che tutti abbiamo in comune è proprio essa, la vita: possiamo fregarcene, girarci dall’altra parte ma lei tornerà sempre a darci una possibilità per soffermarsi a ragionare su qualcosa oppure, semplicemente, avere un riscatto inaspettato. Ma il grande messaggio che ci lascia il film è che l’essere umano non è nato per rimanere solo e per quanto nel pieno dei propri errori, e ognuna delle tre protagoniste avrà i propri errori da redimere, quando queste si tendono una mano per aiutarsi a vicenda, entrambe troveranno la loro pace personale, pronte, finalmente, a cambiare pagina.

Se avete meno di due ore libere e Netflix, fatevi un piccolo regalino intimo.

Gabriele Barducci
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