Equals: L’amore ai tempi del distopico

Equals: L’amore ai tempi del distopico

August 9, 2016 0 By Mariangela Martelli

locandinaequals“Ne ero certo: anche lei vedeva un paesaggio molto simile al mio. Tutti e due avvertivamo la presenza di una nuova realtà che sarebbe presto diventata nostra e che avrebbe colmato quel senso di incompletezza delle nostre esistenze. Una nuova porta stava per aprirsi davanti a noi, soli sotto una vaga e flebile luce, con le mani strettamente allacciate per dieci, brevi secondi.” (Haruki Murakami – A sud del confine, a ovest del sole).

L’EVOLUZIONE CHE ALLONTANA DAL SENTIRSI VIVI

Equals (2015) scritto da Nathan Parker e diretto da Drake Doremus, è stato presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia. La pellicola (che chiude la trilogia dell’amore dopo “Like Crazy” del 2011 e “Breathe in” del 2013) racconta, questa volta, di un amore vissuto in un futuro distopico in cui la società è riuscita a creare un ordine asettico, debellando le più gravi malattie e conflitti politici. Per non alterare questo stato neutrale delle cose, vengono messe al bando le emozioni perché viste come un possibile ritorno al caos. Il collettivo, non solo attua un controllo sulle fecondazioni e nascite assistite, (estirpando così all’origine i sentimenti dell’essere umano) ma governa sul popolo anestetizzandolo con pericoli-informativi: i video-propaganda trasmessi h24 hanno lo scopo di far “conoscere le conseguenze” a cui va incontro chi è in grado di provare una passione. Una fila indiana di uomini e donne procede muta, indossano abiti bianchi e tagli di capelli standard, come manichini asessuati. La “catena di montaggio umana” è accompagnata/sorvegliata dalle immagini pubblicitarie sui monitor sempre presenti, che rendono tangibile il senso di isolamento. Inevitabile, da parte dello spettatore, domandarsi se l’azione passiva di stare davanti a uno schermo (invece di condividere un’idea, magari interagendo con altre persone) sia solo un problema degli “Uguali” nel film.

COLLAGE RUN PUZZLE

VIVERE IN UN NUMERO LIMITATO DI POSSIBILITÀ

Una quotidianeità scandita da orari precisi e gesti puntuali compiuti dagli individui come riti automatici eseguiti sempre in solitudine. Capita però che qualcuno, all’improvviso, rompa le righe: innamorandosi, suicidandosi o tentando la fuga. Coloro che osano tanto sono “i diversi” perché affetti dalla pericolosa malattia S.O.S (switched-on Syndrom/sindrome dell’accensione) che li fa essere vivi, in un universo di “uguali”. Accorgersi in tempo dei sintomi è necessario per trovare una cura, prima che sia troppo tardi e che si evolva in uno stadio di non ritorno. Un’ ultima possibilità di guarigione esiste ed è recandosi al Den: uno speciale centro di “correzione” (peccato però che nessuno ne sia mai uscito).

MENTE ZEN

L’idea del film è nata dopo una “provocazione” lanciata dal regista californiano al produttore Michael Pruss: “Com’è sarà l’amore nel futuro… Pensi che l’evoluzione ci allontanerà da ciò che ci rende umani?”. Doremus e cast hanno trascorso una settimana a Tokyo per fare esercizi di recitazione e calarsi totalmente (e in modo spontaneo) nei personaggi. Il regista ha le idee ben chiare riguardo la location della pellicola fin da subito: per esprimere l‘immagine futuristica che ha in mente, punta all’essenzialità minimale, a qualcosa di semplice e classico che vada bene anche tra qualche anno (sia a livello di contenuto che di forma). Vuole soprattutto che l’architettura susciti un effetto di calma e discipina zen: l’ispirazione nasce sotto l’influsso della lezione giapponese del maestro/architetto Tadao Ando, i cui edifici sono immersi nella natura e non nelle città. In Equals vediamo grandi costruzioni circondate da giardini e che accolgono al loro interno, sia le abitazioni che gli uffici, mense, luoghi di svago… Un’efficienza completa che non fa una piega e che ci ricorda la struttura del micro-cosmo nel condominio ballardiano, ma di spirito orientale. Se pensiamo al centro di correzione Den, ci viene in mente un luogo buio e angusto, invece, paradossalmente, è tranquillo e luminoso: questo luogo esiste realmente ed è vicino Osaka: è il Sayamaike Historical Museum progettato da Takao. Una soluzione razionale e geometrica di raffinata utopia.

Collage Sayamaike Historical Museum

“Creare architettura significa esprimere aspetti del mondo reale – natura, storia, tradizione e società – all’interno di una struttura spaziale, che è un concetto astratto composto con logica chiara e trasparente.” (Tadao Ando)

In Equals, anche gli interni svolgono un ruolo fondamentale come componenti della pellicola. L’architetto berlinese Tino Schaedler, specializzato in digital set design, si occupa non solo di scegliere la location giusta per il Den ma realizza lui stesso le stanze-box degli Uguali. Nelle scene in cui Silas è nel suo monolocale non deve fare nulla perché tutto è funzionale a livello estremo per soddisfare le esigenze dei suoi inquilini: dai muri esce il letto, il piano cottura o l’armadio a seconda della necessità. Sembra che il ragazzo abiti in una scatola vuota: preme un pulsante e la luce del panorama ellittico invade la stanza, riempiendola. Non esistono oggetti superflui né personali: ma i colleghi di Silas scriveranno il suo nome sulla tazza mug della sua scrivania, per riconoscere il suo stato di diverso (e malato) in mezzo a loro ed a evitare così che vengano contagiati dalle emozioni.

IL RISVEGLIO

Nella prima parte del film seguiamo il protagonista Silas (Nicholas Hoult) nella sua metodica e solitaria routine. Lo vediamo svegliarsi nel suo monolocale-box, prendere la divisa bianca dall’armadio, lo seguiamo nella fila composta in mezzo agli altri Uguali, ascoltare le news-progresso, lo osserviamo a lavoro mentre colora un’illustrazione per la rivista Atmos, uno dei mezzi di divulgazione scientifica impiegati dal collettivo. Tutto questo in rigoroso silenzio, come quando ritorna a “casa” la sera, sceglie la cena e prima di andare a dormire risolve puzzles proiettati su di un mega schermo. L’elemento di rottura si ha quando dalla finestra dell’open space del suo ufficio, osserva un corpo sul prato: un “diverso” si è gettato dall’edificio. Per la prima volta, non rimane impassibile come gli altri e posa lo sguardo su un dettaglio in mezzo a loro: le mani della collega Nia (Kristen Stewart) che si chiudono a pugno, tradendo un sentimento incapace di essere esternato. É la rabbia della giovane donna difronte all’impotenza del cambiamento. Passano i giorni e qualcosa in Silas va mutandosi: non dorme bene, scopre che i piatti che mangia hanno un sapore, avverte le gocce d’acqua sulla pelle mentre fa la doccia. Dopo l’episodio in cui si sveglia di soprassalto (e sentendosi in gabbia va a sbattere contro il muro), decide di farsi vedere da un medico: non aveva mai avuto un incubo. Gli verrà diagnosticata la tanto temuta S.O.S. al primo stadio. Durante il periodo di cura in cui gli prescrivono pillole per “tornare come prima” e gli raccomandano di indossare gli occhiali da sole per proteggere dalla luce i suoi occhi adesso sensibili, capisce che la sensazione provata al risveglio era solo l’inizio. Silas sta provando per la prima volta delle emozioni e ne è spaventato perché non le ha mai conosciute, quindi per lui diventa fondamentale imparare a gestire questa metamorfosi,  se vuole stabilire un contatto con Nia. Lui ha intuito che la ragazza ha la sua stessa “malattia” (ma lei, da brava “sovversiva”, non ha denunciato ai medici la sua auto-diagnosi e rifiuta di intraprendere una cura perché per lei inutile). Sono entrambi “diversi” in mezzo agli “uguali” e per questo si possono comprendere. L’avvicinamento sarà graduale, ma quando percepiscono la volontà che li spinge a cercare l’altro, hanno la certezza di non poter più tornare indietro.

BLU

Nude sfumature trascolorano dal loro profondo per emergere fino ai polpastrelli. Mani si aggrappano esitanti l’un l’altro e vibrano in uno spazio quadrato. I confini dei loro profili sono una dimensione che si confonde nel verde/blu di galassie e abissi che li avvolgono, donandogli un fragile mondo appena creato e di cui non ne conoscono il nome. Dare e ricevere non è mai stato così naturale. Ma quanto è difficile trovare un po’ di privacy quando si rischia di essere scoperti in ogni momento dall’esterno! In un possibile universo parallelo in cui l’amore e i desideri sono visti come una minaccia, Nia e Silas sono soggetti da allontanare ed eliminare. La ricerca di un rifugio, di una via di fuga, la lontananza volontaria: saranno queste le costanti che ci accompagneranno nella seconda parte del film. Le riprese interne della prima parte lasciano il posto al verde respiro dei boschi e della serra in cui Silas ha trovato una nuova occupazione. Progettare un piano di vivere-alternativo grazie all’aiuto di altri “diversi” come loro, sarà un’effimera tregua dal terrore. L’illusione di assistere ad una rivisitazione in salsa distopica di Romeo e Giulietta mette in allerta lo spettatore sulla tragedia che “sembra” incombere sui giovani amanti. Forse, però, dovrebbe spaventarci di più la morte di un ricordo felice. Si ha l’impressione di aver “già visto” un film come Equals, soprattutto a livello di trama: rimaniamo però catturati dal modo di raccontare intimo e delicato, dalla profonda evoluzione dei protagonisti verso la ricerca di una propria identità e realizzazione, dalle sfumature di tante piccole sotto-trame che si diramano lungo i confini di architettura e arte.

COLLAGE LIGHTS

Mariangela Martelli