Venezia73: El Vendedor de Orchideas, la ricerca del ricordo

Venezia73: El Vendedor de Orchideas, la ricerca del ricordo

September 9, 2016 0 By Mariangela Martelli
Sala Giardino per la proiezione della pellicola fuori concorso El vendedor de orquideas del regista latinoamericano Lorenzo Vigas, vincitore del Leone d’Oro alla scorsa mostra internazionale del cinema di Venezia con il suo primo lungometraggio Desde alla’.
Vigas/regista ci documenta di come suo padre, il pittore venezuelano Oswaldo Vigas, sia tornato al paese natale dopo tanti anni con il preciso scopo di ritrovare un dipinto perduto “il venditore di orchidee”, il  tassello necessario non solo per rendere completa la prospettiva sui primi anni di carriera che sta organizzando sua moglie Jeannine ma anche per ricomporre i ricordi personali e familiari.
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La pellicola, come ci tiene a precisare il regista, non vuole essere un omaggio alla figura artistica del padre, ma un tramite per far conoscere allo spettatore l’uomo dietro alla tela.
Nella fase di montaggio delle riprese iniziali, il regista vede chiaramente che il materiale raccolto nelle interviste attraverso i luoghi di gioventù paterna non sono abbastanza per avere un ritratto completo dell’artista. Si cerca di andare oltre, verso qualcosa che non c’e’ più: riprendersi il  dipinto perduto “il venditore di orchidee” e con esso i momenti di felicità passata.
Siamo immediatamente catapultati nell’universo di Oswaldo Vigas, un ottantenne dai modi di dire coloriti (che ricordano i tanti vecchietti di paese al bar) un uomo semplice legato agli affetti, capace di sentire nel profondo le proprie emozioni ed esprimerle senza mezze misure: infatti in una scena riderà talmente tanto che sembra quasi soffocare per poi emozionarsi subito dopo, la moglie sempre al suo fianco, nonostante si preoccupi di questi momenti imprevedibili, sa che fanno parte di lui.
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Sulle tracce del quadro da ritrovare, Vigas ci parla del soggetto ritratto, del suo amato fratello Reynaldo scomparso prematuramente a seguito di una malattia, del loro legame. Una ferita difficile da rimarginare ma Oswaldo non ricorda solamente con dolore perché a tratti la rievocazione del proprio vissuto diventa piena delle sfumature  di tenerezza e umanità, non sempre facili da contenere come quando rivive gli anni dell’amicizia con Pierre, entrambi innamorati della stessa donna (Jeannine) e si ritrovavano per piangere insieme, oppure quando da bambino si fingeva malato perché era l’unico momento in cui poteva avere un uovo tutto per se, invece di dividerlo come di consueto con  gli altri tre fratelli, per arrivare infine agli anni della maturità di quando diventato medico ha visto spegnersi fragili vite tra le proprie braccia, senza poter fare nulla.
Oswaldo Vigas e’ nel racconto degli amici e compaesani intervistati, nella spontaneità dei gesti che diventano irresistibilmente comici (quando si tuffa nella vasca delle terme con gli occhiali da sole), nella primitività del Venezuela come negli anni giovanili trascorsi a Parigi, tra pittura cubista, ceramica e scultura. Nel suo dipingere sempre fino alla fine, nel mischiare i colori densi e sovrapporli, ruotandone magari la prospettiva da verticale a orizzontale.
Come vediamo nella prima scena quando risale la montagna e tocca con mano i simboli  precolombiani solcati di bianco nella pietra antica,  la volontà di lasciare un’impronta è nella ricerca continua nell’arte della propria esistenza. La consapevolezza che scegliere significa rinunciare.
Noi non dobbiamo cessare di esplorare, e il fine di tutta la nostra esplorazione sarà quello di arrivare là dove cominciammo e di conoscere quel posto per la prima volta”. T.S.Eliot.
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Mariangela Martelli