
Café Society e l’arte di Essere
September 29, 2016A ottant’anni suonati, Woody Allen non mostra la ben che minima intenzione di cedere alla prospettiva di una meritata pensione, considerata la brillante carriera da attore, sceneggiatore e regista. Solo Allen ha la sorprendente capacità di partorire un film a una rapidità sorprendente, tale da superare i tempi standard di riproduzione umana.
Presentato fuori concorso nella 69ª edizione del Festival di Cannes, Café Society apre la kermesse internazionale e vede l’ormai “maturo” regista al fianco di Corey Stoll (Midnight in Paris, 2011) e dei suoi giovani attori sul red carpet della cerimonia d’apertura: Jesse Eisenberg (già apparso in To Rome With Love del 2012) oltre alle new entries Kristen Stewart e Blake Lively.
La trama di questa nuova commedia è relativamente semplice, un intreccio amoroso già banalmente visti e rivisti migliaia di volte: Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) stanco della fredda New York e dalle possibilità che questa gli offre si trasferisce alla calda e assolata Los Angeles dove ambisce ad inserirsi nel mondo del cinema grazie allo zio Phil Stern (ruolo affidato a Steve Carell dopo che Woody ha visto la sua interpretazione in Foxcatcher, togliendo così la parte precedentemente affidata a Bruce Willis).
Qui il giovane s’invaghirà per l’accompagnatrice che gli farà da cicerone alla scoperta della città californiana, Vonnie.
Una voce narrante (che in lingua originale e quella dello stesso Allen) ci introduce all’interno della storia presentandoci i protagonisti, la loro storia, i loro trascorsi e gli ambienti che essi abitano; ci immergiamo, così, nella Hollywood degli anni ’30, il formato dello schermo lentamente si allarga e il technicolor prende il posto del bianco e nero.
Il film ha un buon ritmo narrativo e visivo, reso più fluido dall’utilizzo di transizioni, permettendo alle inquadrature di trasmettere un senso di maggior continuità visiva; le dissolvenze incrociate e le tendine fanno sembrare il lavoro di montaggio di Alisa Lepselter, ormai una habitué dell’editing dei film di Allen, un lavoro di sperimentazione adolescenziale di un documentario familiare. L’uso dei flashback è introdotto dalla voce narrante che ci apre una finestra temporale su un altro livello temporale, accompagnando lo spettatore in un viaggio retrospettivo all’interno della storia d’amore tra Bobby e la futura moglie Veronica all’interno di una cornice estiva.
La luce di Café Society disegna i volti dei protagonisti, i contorni dei palazzi e le linee dei paesaggi; infatti, la fotografia porta la firma di un italiano, il maestro Vittorio Storaro, che si è distinto oltre che in patria anche oltre oceano in film che gli hanno regalato una tripletta agli Oscar, con Apocalypse Now (1979) di Coppola, Reds (1981) di Warren Beatty e L’Ultimo Imperatore (1987) di Bernardo Bertolucci. La fotografia è utilizzata per caratterizzare i due principali città dove si svolgono le vicende; New York è contraddistinta da toni piatti, sbiaditi e opachi che tendono al grigiastro e al bluastro che oltre a dipingere gli enormi grattacieli tingono anche i costumi degli attori, mostrando così, tutta la freddezza della metropoli atlantica.
Al contrario, Hollywood è esaltata da colori caldi: rossi e marroni, forti visivamente e brillanti, tali da celebrare l’inseguimento dei propri sogni del giovane Bobby, la passionalità e la carnalità dei gesti umani; emerge inevitabilmente la forte dualità sia fisica che sentimentale che questi due poli opposti producono
La macchina da presa si muove con molta fluidità sulla scena che guida l’occhio dello spettatore sulle numerose situazioni che il regista vuole narrarci; l’eleganza dei piani sequenza si notano nei movimenti all’interno del club privato introducendoci i frequentatori abituali e le sequenze in successione della rotazione di 180° attorno ai volti di Eisenberg e Stewart, riproducono quasi un fluente movimento circolare alternato.
La comicità di Woody Allen fuoriesce da ogni poro, sprizza vitalità e divertimento, infatti, non mancano le numerose battute sugli ebrei, i vari aneddoti che assimilano la donna all’automobile e i sotto testi presenti; anche il tema del tradimento non abbandona mai la sua filmografia.
Café Society rappresenta il luogo ideale per fare un tuffo nel passato e mostrarci la bellezza degli anni ‘30 segnati dal cinema, dei gangster e dai club che conducono all’omologazione al café society, uno stile di vita, un modo di essere esteriore che ti distingue come classe medio-alta della società.
«La vita è una commedia scritta da un commediografo sadico», ecco come Woody Allen si presenta con questo film, altro suo manifesto filmico da non perdere!
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