
RomaFF11: Afterimage, l’ultimo ritratto di Andrzej Wajda
October 14, 2016Bisogna subito smentire un fatto: quello che alcuni dei più importanti siti di cinema stanno sostenendo da mesi, cioè che Afterimage sia stato “assegnato” ad Andrzej Wajda come si suol fare con un mestierante qualsiasi, è una falsità. Evidentemente è bastato un passaparola sbagliato e questa voce si è diffusa chissà come. Il maestro assoluto del cinema polacco ha voluto fermamente realizzare Afterimage e da diversi anni girava attorno all’idea di fare un film sul pittore Wladyslaw Strzeminski, di cui sono stati raccontati gli ultimi quattro anni di vita e di carriera sotto il peso di un regime politico comunista tutt’altro che favorevole a quelle forme d’arte considerate come note stonate all’interno di una partitura rigidissima.
L’anticomunismo di Wajda si concretizza in una non accettazione di un potere politico che vuole reprimere la libertà individuale (e artistica) invece che favorirla. Se c’è un campo che dovrebbe vivere slegato da ogni scenario politico, questo è quello dell’arte. La figura di Strzeminski, spigolosa e difficilmente inquadrabile, racchiude in sé quegli elementi di sacrificio e dedizione per e alla propria arte che è stata anche quella di Vincent van Gogh o di Egon Schiele. Inoltre, la lotta del pittore bielorusso è, sì, contro un regime politico ritenuto sbagliato, ma è soprattutto uno scontro intrapersonale, tra sé e la sua arte. Strzeminski infatti vuole costantemente evolversi artisticamente, approdare a nuovi stili, approcciarsi all’arte con occhi nuovi, sperimentare nuove tecniche senza mai copiare se stesso o i suoi predecessori come Malevič. Il conflitto si configura anche nel rapporto trattato per sommi capi, ma emblematico dell’individuo, con la ex compagna, artista anche lei. Nonostante non venga mai mostrata, la scultrice è presente solo attraverso le sue opere, che la figlia (avuta proprio con Strzeminski), osserva, studia e custodisce essendo l’unico tramite che le rimane per conoscere di più sua madre.
Quel che Wajda sottolinea in più momenti è che l’artista deve dedicarsi totalmente alla sua arte, come lui stesso ha fatto col cinema, perché null’altro può fare: l’incapacità di omologarsi e il combattere sempre con se stesso e con gli altri sono aspetti umani inscindibili dalla sua persona, ma che allo stesso tempo rendono grande la sua arte in una spinta costante verso il rinnovamento. Lo stesso regista ha compiuto studi artistici e il suo Afterimage va pertanto visto e letto come un film che dell’arte fa il suo interesse principale: non c’è il solo il ritratto di uomo/artista e della sua epoca, ma la stessa fotografia, curata da Pawel Edelman, candidato all’Oscar per The Pianist, indaga e riporta alla luce il grigiore delle città dell’Est Europa sotto il comunismo, con un utilizzo dei colori che quasi sfiora il monocromatismo, salvo poi fare uso dei dipinti e delle sculture non solo come oggetti e manufatti artistici sparsi in tutto il film, ma anche come luminosissimi elementi cromatici che risaltano nelle scenografie a simboleggiare la forza dirompente dell’arte, impossibile da soffocare totalmente anche nei regimi più terribili.
L’oggetto d’arte, tanto un quadro quanto un film, rifugge la mortalità umana e lo scorrere del tempo e rimane a memoria di chi siamo stati anche quando non ci siamo più. Esattamente come le opere di Strzeminski e quelle di Wajda.
- Scavando la fossa di Tulsa King - March 17, 2023
- L’incipit di The Whale vale quanto il resto del film: poco - March 6, 2023
- Addentando il cuore marcescente di Dahmer - February 28, 2023