Il cuore selvaggio di American Honey

Il cuore selvaggio di American Honey

December 30, 2016 0 By Simone Tarditi

Quattro stracci addosso, il fiore degli anni sulle spalle, un ambiente degradante da cui sfuggire e via sulla strada. Dal buio verso la luce per ritornare nelle tenebre completamente cambiati. Se si volesse ridurre American Honey a due frasi in croce si potrebbe ricorrere ad una sintesi simile, una sorta di canovaccio spicciolo lungo cui dipanare una serie di vicende di formazione, di positivo smarrimento, di rinascita splendente. Presentato alla sessantanovesima edizione del festival di Cannes, il nuovo film della regista Andrea Arnold (Fish Tank, Wuthering Heights) restituisce senso all’improvvisazione, al desiderio di fare cinema solo con luci naturali, alla sregolatezza di una nuova generazione X, all’impura bellezza d’immagini imperfette, all’assoluta non ricerca della perfezione formale raggiungendo comunque un risultato che va ben oltre l’essenza di un qualsiasi film costruito a tavolino.

Star (Sasha Lane) è una diciottenne texana che, dopo aver per caso incontrato Jake (Shia LaBeouf) nel parcheggio di un supermercato, decide di rinunciare alle responsabilità di cui si è fatta carico e di fuggire da una situazione opprimente per partire con lui e il suo gruppo di lavoro verso una nuova vita on the road. Volendo collocare a tutti i costi American Honey all’interno di un genere, può calzare a pennello quello del road-movie con attori semi-professionisti: quasi tutti, protagonista compresa, non hanno ancora spiccato il volo all’interno dell’industria cinematografica e gli stessi Shia LaBeouf e Riley Keough, le cui carriere son già avviate, si mimetizzano perfettamente e sembrano quasi non recitare solamente una parte.

Ad accompagnare il viaggio della crew 071 attraverso gli Stati Uniti e lungo le sue autostrade ci sono le soste nelle stazioni di servizio, nei motel, le canzoni rapo e pop intonate a squarciagola (da Rihanna e Ciara a E-40 e Juicy J), i falò, le droghe e l’alcol, i furti, la vendita di riviste che non interessano a nessuno, le armi, i continui riferimenti all’universo di Star Wars, gli insetti notturni intrappolati tra il vetro e le tende, i macelli e le pozze di sangue che fuoriescono dal terreno, i pozzi petroliferi e le fiammate che illuminano a giorno, l’amore di un’adolescenza sfiorita consumato furtivamente e all’oscuro di tutti. American Honey è avvolto da un senso di tribalità e di wilderness che rievocano una serie di riti sociali sepolti, diseppelliti, deformati, trasformati, ma soprattutto un fuoco che divampa violento nelle tenebre della notte umana e impossibile da spegnere. Che splendore.

Simone Tarditi