Berlinale67, il curioso caso di Wild Mouse

Berlinale67, il curioso caso di Wild Mouse

February 12, 2017 0 By Simone Tarditi

Il tempo di scendere dall’aereo, prendere il treno che porta nel centro di Berlino, scaricare in fretta e furia zaino e valigia in appartamento, ritirare l’accredito stampa, buttare giù nel gargarozzo un panino a base d’insalata e formaggi tedeschi non ben identificati, ma tuttavia edibili, ed è già ora del primo film di questa 67ma edizione della Berlinale. La sala 7 del CinemaxX è piena come un uovo e a sentire ciò che dicono tutti, questo è uno dei film più attesi di tutto il festival. Tutte le corse fatte sembrano essere valse la pena (e così sarà).

Wild Mouse, film austriaco scritto-diretto-interpretato da Josef Hader, è un dramma vestito da commedia, un attacco frontale a gran parte delle nevrosi borghesi degli europei senza toccare le corde del superfluo cinema politicamente corretto ed impegnato. Georg (Josef Hader) è un critico musicale dalla penna affilatissima che per venticinque anni ha lavorato incessantemente nella redazione di un importante giornale, portando in gloria o distruggendo tutti i musicisti che ha visto in concerto. Inaspettatamente, arriva il licenziamento ed inizia per lui un lungo periodo di smarrimento che lo vedrà barcamenarsi tra la moglie Johanna (Pia Hierzegger) alle soglie della menopausa e desiderosa di diventare madre, un ex compagno di scuola (Georg Friedrich) diventato delinquente con cui stringerà un rapporto di amicizia e collaborazione, teste di cavallo e citazioni a Il Padrino, scorfani morti, medicinali dentro bottiglie di whiskey Jack Daniel’s, fughe nella neve, il business del sushi, sedute di psicanalisi ed esplosioni di rabbia.

Giusto per dare un’idea: Wild Mouse è metà strada tra un film di Woody Allen e Rainer Werner Fassbinder, con i guizzi d’ingegno del più dissacrante Roman Polanski. Il ritratto che viene fatto della coppia borghese (Georg e Johanna) è di un realismo esasperato: entrambi sono immersi nel loro egoismo e tutti e due vogliono qualcosa dalla vita che l’altro può dare solo parzialmente e questo genera una tensione tale da preannunciare rotture e riavvicinamenti. Le problematiche con cui la classe media si affanna sono dovute alla noia, al benessere, al continuo lamentarsi delle più piccole cose e allo sfogare le proprie nevrosi contro chi non c’entra nulla (a tal proposito, l’idea stessa di un critico che ha trovato il senso della sua professione e della sua vita nel distruggere gli altri sembra essere uno sberleffo per nulla velato e condivisibile a questa categoria).

Letteralmente dall’altra parte della barricata, c’è la situazione dei migranti che vengono ammassati in centri in cui il sovraffollamento raggiunge livelli disumani o c’è il propagarsi della paranoia del terrorismo per distrarre le menti. In Wilde Mouse, tutte queste notizie arrivano frammentarie sugli schermi televisivi o alla radio e i protagonisti le ascoltano distrattamente, come se fossero anestetizzati dalle loro stesse ansie lavorative o dalla preoccupazione su come marinare i carciofi oppure che vino rosso comprare. Ognuno ha il suo modo di sopravvivere, le sue urgenze, le sue impellenze e la sinfonia della vita sembra essere troppo indecifrabile per cercare di capirne ogni singolo passaggio o di apprezzarla totalmente.

In conclusione, una previsione di tipo prettamente cinefilo-borghese: Wild Mouse come candidato austriaco come miglior film straniero agli Oscar del prossimo anno. Le carte in regola le ha tutte e se qualche produttore non si deciderà a portarlo nelle sale italiane sarà un peccato per tutti.

Simone Tarditi