
In difesa di The Great Wall
March 1, 2017Ma chi l’avrebbe mai detto che il buon Zhang Yimou un giorno avrebbe diretto un blockbuster cino-statunitense costato la ben poco modesta cifra di 150 milioni di dollari? Ebbene sì, anche questa volta il regista cinese ci ha sorpreso e meravigliato con The Great Wall, il suo primissimo film in lingua inglese che (speriamo) sia l’inizio di un fruttuoso scambio di idee fra cinema hollywoodiano ed universo asiatico.
Nel corso degli anni, Zhang Yimou ha dato prova del suo essere camaleontico, dimostrando versatilità non solo nei generi cinematografici ma anche nel linguaggio stilistico, passando dai drammi erotico-sentimentali dalle tinte neorealistiche di Ju Dou e Lanterne Rosse a wuxiapian dall’estetica curatissima come Hero, La Foresta dei Pugnali Volanti e La Città Proibita, sperimentando anche gangster movie ed affreschi storici.
Insomma Zhang Yimou non ha mai desiderato addossarsi un’etichetta, facendo così valere sempre la sua ecletticità, ed è forse anche per questa ragione che ha deciso di realizzare il più costoso film mai realizzato in Cina, lasciando stare per un momento autorialità e poetica.
Questa volta ha voluto giocare, divertirsi e divertire il suo pubblico. E c’è riuscito.
The Great Wall non si può di certo definire un film esente di difetti (non soffermiamoci nemmeno sulla sceneggiatura onde evitare amarezze), ma ha un gran aspetto positivo: non si prende sul serio, non ci prova nemmeno per un minuto, vuole solamente appassionare, essere un puro prodotto d’intrattenimento, e noi di Vero Cinema apprezziamo quest’onestà negli intenti.
Donne a capo di eserciti che nemmeno dopo ore ed ore di battaglie sanguinolente si scompongono mantenendo quel misterioso fascino d’altri luoghi (prima su tutte l’incantevole Jing Tian), soldati alle prime armi imbranati ma con coraggio da vendere e voglia di riscattarsi (il volto del giovane Luhan è parte del successo di questo film), mercenari anti-eroi avidi ma alla ricerca di redenzione (Matt Damon e Pedro Pascal) e qualche altro personaggio messo lì giusto per inserire qualche nome d’effetto in più (da Willem Dafoe ad Andy Lau).
Certo non possiamo dire che ci sia stato un gran lavoro di caratterizzazione dei personaggi, ma che gliene importa a The Great Wall di puntare sull’introspezione di questi uomini?
Scontri mozzafiato, coreografie epiche, interni curati nei minimi dettagli e paesaggi da far perdere la testa. Zhang Yimou punta su colori accesi e distinti come ha sempre fatto nel suo cinema, giocando con luci ed ombre, creando scenari che vorresti fotografare ed appendere al muro da quanto belli sono.
Ogni tanto ci scappa pure da ridere, perché alla fine è una pellicola che un po’ si prende in giro da sola, ed è questa la direzione su cui puntare: creare un prodotto che possa unire non solo due paesi ma anche due mondi cinematografici differenti, per stile e commercio, e The Great Wall in questo si può considerare un mezzo in grado di far incontrare gusti (apparentemente) opposti.
(Angelica Lorenzon)
Inutile accanirsi o mostrare una superiorità cinefila nel criticare prodotti come The Great Wall, questo perchè al netto del cast e del regista, già dai primi trailer si evinceva la natura assolutamente scanzonata del prodotto presentato, quindi cosa aspettarsi da un film del genere? Nulla.
Che poi già dai primi minuti capisci l’intenzione della cordata americana e cinese nel creare film del genere. Ma facciamo un passo indietro: già con quel Pacific Rim di Del Toro, si era aperta una breccia (!) con un accordo cinematografico tra Stati Uniti e Cina, sul creare diversi prodotti in coproduzione. I robottoni di Guillermo erano un accenno, poi è arrivato il ‘favore’ Godzilla per arrivare alla prima e vera produzione di questo accordo: Transformers 4 – L’era dell’estinzione. Ambientazione orientale, product placement a non finire (e su questo Bay è un maestro venendo dal settore delle pubblicità e videoclip) e tanto bei dollaroni da spartirsi tra i due paesi.
The Great Wall è a tutti gli effetti, il secondo ‘ufficiale’ prodotto di questa cordata: cast mischiato, 150 milioni di dollari da spendere e una poetica soffocata al favore di scontri, effetti speciali neanche realizzati troppo bene, alieni venuti da altri pianeti ma venduti come mostri a rispostà dell’avidità e cupidigia dell’uomo, Matt Damon (alias, bellicapelli) che non si sa che cosa ci faccia in Cina e una leggenda sulla Grande Muraglia Cinese mostrata al pubblico internazionale.
Ottime le coreografie, come ci si sarebbe aspettato, come il 3D che nonostante sia morto ufficialmente, in questi ultimi colpi si lascia ben guardare e la selezione cromatica dei costumi – ogni truppa sulla muraglia, a seconda della sua abilità, ha un colore diverso dell’armatura. Non so, ho particolarmente apprezzato – ma il resto è un matrimonio di clichè, di sceneggiature inesistenti, di visi sempre puliti, truccati e pettinati, classici sacrifici e via di questo passo.
La visione quindi è accompagnata da una consapevolezza di vedere un film leggero, fatto con un minimo sforzo, con il solo intento di entertainment. Una piccola osservazione che comunque si denota non riescono ad applicare tutti, dato che l’odio e la critica serpeggia continuamente sul web.
Certo se nonostante le premesse, si va al cinema aspettandosi il capolavoro artistico, ad aver problemi è il pubblico e non Zhang Yimou.
(Gabriele Barducci)
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