Loving, la storia incisa dai piccoli eventi

Loving, la storia incisa dai piccoli eventi

April 3, 2017 0 By Mariangela Martelli

1959, Virginia. Le nuove generazioni di bianchi e neri crescono insieme in un’America che ha abrogato solo su carta la parola segregazione. Il regista Jeff Nichols (qui anche sceneggiatore) dopo aver visto il documentario del 2011 “The loving story” di Nancy Buirski decide di girare il suo lungometraggio “Loving” presentato in concorso al festival di Cannes del 2016. Il caso giudiziario (e mediatico) conosciuto e passato realmente alla storia come Loving v Virginia, ha visto nei coniugi Loving i protagonisti e portavoce dei diritti civili americani: con la loro vicenda è stato possibile cancellare le leggi antirazziali in tutta la nazione. Il regista statunitense parte dalla “grande storia” per focalizzarsi sulla “piccola storia” creata da due persone comuni, Richard e Mildred Loving, “colpevoli” di essersi sposati e di aver messo al mondo figli misti. I toni scelti per la narrazione non sono né epici né rivoluzionari, nonostante si sia rischiato con l’intervento dell’avvocato Cohen (e la sua volontà di arrivare a cambiare la costituzione) di porre il tutto sotto le luci della ribalta ad ogni costo, facendo leva sull’intervento mediatico per giungere fino alla Corte Federale. Lo spettatore che cerca un “film giudiziario” rimarrà deluso perché nonostante la trama trovi uno sviluppo anche in tribunale, si tratta di un elemento che rimane secondario, facendo da sfondo al vero nucleo-Loving. Il titolo del film-cognome dei coniugi sembra scelto con un preciso compito: farci avvolgere della qualità che la parola porta in sé, concentrandoci così nel significato profondo fatto di calore familiare e senso di intimità. Una vita semplice, come tante altre che i nostri protagonisti cercheranno di salvaguardare attraverso i loro modi gentili e rispettosi, nella loro esistenza quotidiana costruita con tenerezza e amorevole cura l’uno dell’altro. Nella scena iniziale i due primi piani si incontrano, quello di Mildred (nelle cui vene scorre sangue sia africano che nativo americano) e quello di Richard (interpretato da un biondissimo Joel Edgerton): sono seduti sulla veranda e lei gli annuncia di essere incinta. Ma si macchieranno ben presto della colpa per essersi sposati “di nascosto” nello stato di Washington, per veder riconosciuta la loro unione (negata in Virginia) di coppia mista composta da un bianco e una nera. Purtroppo non basta che Richard indichi la loro licenza matrimoniale appesa sulla parete della camera da letto, quando una notte lo sceriffo e la polizia irrompono nella loro casa, durante il sonno. Se l’arresto immediato irrompe nella serenità dei Loving e ci colpisce, è l’ottusità dello sceriffo che ferisce, continuando ad appellarsi ad una legge ingiusta che gli permetta di separare (e allontanare dalla comunità) quei tanto disprezzati “Cherokkee e Rappahannock”. Nel frattempo osserviamo e partecipiamo allo stato d’impotenza e di attesa della coppia protagonista, costretta a stare dietro le sbarre, divisa. Tra cauzioni pagate, incontri notturni per rendersi invisibili e la “scelta semplice” tra reclusione o esilio (posta loro dall’avvocato) Richard e Miltred arrivano al loro primo processo in cui sono costretti a dichiarsi colpevoli per essersi sposati illegalmente in un altro stato. La decisione del giudice di lasciare la sentenza sospesa per 25 anni li costringe a vivere in un limbo, lontano dal loro mondo e dagli affetti: i due possono dirsi finalmente insieme, ma a caro prezzo. Richard continua a lavorare come tuttofare: costruendo case e riparando automobili, mentre Mildred sente fin da subito nostalgia di casa e alla domanda del marito “cosa posso fare” lei esprime il desiderio di tornare in Virginia per il parto, per essere assistita dalla madre di lui che è levatrice. Il passaggio di notte al confine tra i due stati e il conseguente ri-arresto della moglie dopo aver dato alla luce la prima figlia sono sequenze veloci ma non meno importanti in quanto tracciano il percorso verso il loro definitivo esilio, fatto intendere in modo esplicito dal loro avvocato, riuscito a difenderli “per l’ultima volta”.

Con un salto temporale di qualche anno ci ritroviamo in casa Loving che nel frattempo hanno messo su famiglia. Non si tratta della “loro vera casa”: quella che Richard stava progettando di costruire su quell’acro di terra acquistato vicino a quello della famiglia di Mildred, ma avvertiamo anche nella “nuova sistemazione” la stessa essenza e voglia di normalità di prima. Il legame della moglie con i propri cari rimane ma ha perso inevitabilmente quella quotidianità che caratterizzava “la vita in Virginia”. Un giorno la sorella di lei va a trovarla ma nel raccontare le storie di chi è rimasto ci rendiamo conto del dolore che una legge iniqua possa causare nella vita delle persone, colpendoli alle fondamenta: la voce della sorella-narratrice si allontana mentre lo sguardo della macchina da presa si concentra sul primo piano della protagonista per far emergere la nostalgia per il passato e soprattutto il rimpianto di non poter far crescere i propri figli come lei, nella natura. Richard conosce la moglie e sa ciò che sta passando a causa della situazione legale rimasta irrisolta e vorrebbe fare di più per starle accanto, per prendersi cura di lei come le ha promesso.

Il momento storico entra anche nel salotto dei Loving, attraverso la televisione. Immagini in bianco e nero raccontano ciò che avviene fuori: 100.000 lavoratori stanno manifestando al Lincoln Memorial per rivendicare i loro diritti di libertà. Mildred si fa coraggio e scrive una lettera a Bobby Kennedy, visto che “parla sempre di diritti civili e lei deve ottenerne qualcuno”. Il tentativo di cambiare la situazione troverà risposta nella telefonata che riceve da parte dell’avvocato Bernard Cohen, incaricato dall’Unione Americana per le Liberà Civili di portare avanti il loro caso. Sebbene inesperto di diritto costituzionale (come confesserà poi a un collega che gli verrà affiancato in seguito) farà di tutto per arrivare fino alla Corte Federale per abrogare le leggi razziali (ma anche per un possibile avanzamento di carriera). Cohen prepara il set del suo “ufficio” sostituendo la propria targhetta sulla scrivania e togliendo le foto del vero proprietario ma già da questo “primo appuntamento” con i coniugi Loving è ben chiara la necessità di cambiare lo stato delle cose (per Mildred) senza diventare loro stessi un “affare di stato” con battaglie legali-mediatiche che turbino la loro tranquillità (per Richard). Quando l’avvocato gli propone di farsi ri-arrestare tornando in Virginia per riportare la causa in tribunale perché ormai scaduto il termine per il ricorso, Richard si oppone: “Noi non lo faremo”. Nel suo rifiuto c’è il difendere un nuovo equilibrio costruito con sacrificio ma ormai inclinato. I due protagonisti hanno una certa affinità sul grande schermo: la riservatezza di Richard non si contrappone all’estroversione di Mildred, ma trova la possibilità di completarsi con l’altro, spontaneamente. Tra i due è la moglie ad essere in grado di collegare l’interno (del loro caso) con l’esterno, comunicando con avvocati e giornalisti ma quando i media entrano nella loro vita privata (Richard si ritroverà le telecamere nel salotto per un’intervista) la chiusura da parte del marito (che non aveva “niente da dichiarareai giornalisti fuori dal tribunale) è adesso totale. Mildred conosce il carattere di Richard e soprattutto la comune stanchezza dopo un decennio trascorso a parlare con avvocati senza ottenere risultati concreti. Il protagonista non nasconde la propria fragilità: è il gesto di un abbraccio a donargli quelle certezze messe a dura prova.

Il fotografo della rivista Life, Grey Villet (interpretato dall’attore-feticcio del regista: Michael Shannon) arriva dai Loving per dare visibilità al caso, permettendogli così di essere conosciuto e condiviso. L’empatia che stabilisce subito con la famiglia è palpabile durante la cena insieme e le scene di finzione cinematografica sono dei parallelli immortalati nei suoi scatti reali passati ormai alla storia, ma anche un pre-annuncio delle didascalie finali che ci raccontano di come è continuata la loro storia, di come sono sempre rimasti uniti e fedeli a loro stessi. Il regista Nichols narra un melodramma composto, mettendo la piccola Storia tratta da queste “scene di un matrimoniodentro la cornice della grande Storia civile, politica e sociale americana che è stata scritta in quegli anni. L’approccio è diverso ed inusuale perché all’epicità è stata preferita la quiete, il punto di vista non è quello dei “potenti” ma di chi la storia la incide dalle radici: ovvero della gente comune di tutti i giorni, con i loro drammi personali, marginali ma mai anonimi soprattutto quando vengono privati di un diritto naturale e fondamentale, un bisogno comune universalmente sentito. Con Loving non stiamo parlando della rivoluzione delle masse per le strade ma la voglia di modificare una condizione dall’interno della vita personale e familiare per riflettersi poi nella società in cui viviamo: sono piccoli cambiamenti di cui prima o poi i “grandi” dovranno prendere atto. Mildred prima della sentenza definitiva dirà nell’ipotesi di sconfitta: “Potremmo perdere le piccole battaglie ma vincere una grande guerra”. La scelta del regista, di fare entrare lo spettatore nella quotidianità dei Loving, ci conferma un modo di guardare agli eventi con verità: la loro vicenda è narrata con sincerità come i sentimenti luminosi che provano loro stessi. Nichols lavora da sempre con la connessione emozionale con lo spettatore: partendo da un aspetto di una storia che lo ha emozionato, fa sua la reazione provata per poi concretizzarla su grande schermo, facendola così arrivare a chi guarda la sua creazione. Ciò che per lui è importante non è il genere del film (fantascienza, horror, storico) purché riesca a trasmettere un’emozione. Loving ci racconta un caso che ha avuto un forte impatto nella vita delle persone, di come una coppia mista della middle class abbiano cambiato la storia americana. Mildred (interpretata da Ruth Negga e candidata all’Oscar come miglior attrice protagonista) crede in ciò che vuole cambiare: lei è il potere della convinzione. È una donna umile, dai tratti delicati e dai grandi occhi espressivi. Richard (per la seconda volta protagonista in un film di Nichols, dopo Midnight Special) sembra un “gigante buono” a cui non è facile modificare il proprio modo di essere, ma decide di rimanere accanto alla moglie, prendendosene cura. Avrebbe potuto chiedere il divorzio, come gli dicono al bar ma non lo fa, inoltre rifiuta l’onore (riservato a pochi) di presenziare alla sentenza definitiva della Corte Federale perché vuol proteggere ciò che di più ama dai riflettori, dal mondo esterno. Resiste in una stoicità intima, vera, che non vuole esibire: “Dica che amo mia moglie” vorrà che venga riferito al giudice. Quando Richard era uscito dal carcere, dopo il primo arresto, era rimasto “accecato” dalla luce fuori, come disorientato da quelle barriere politiche imposte da chi fatica a vedere ed adeguarsi ad una società che è cambiata (e che continua tutt’ora nell’era trumpiana).

Mariangela Martelli