Il pianeta delle scimmie, Rise, Dawn, War

Il pianeta delle scimmie, Rise, Dawn, War

July 12, 2017 0 By Gabriele Barducci

Il reboot de Il pianeta delle scimmie è stato quanto di più bistrattato in questa decade. Tre film, tre blockbuster confezionati con intelligenza e raffinatissimi nella sceneggiatura, hanno sempre trovato il consenso della critica, con tante e diverse analisi che si potevano trovare nel web a riguardo degli approcci socio culturali che ogni film ha sempre presentato, ma con buona parte del pubblico che si è trovata sempre freddina, non tanto ad una possibile promozione, ma proprio nel semplicistico atto di andare al cinema e vedere questa saga.

E pensare che questo reboot è quanto di più attuale e i precedenti due capitoli ne sono l’esempio: un virus creato in laboratorio, il T-113, destinato alla sperimentazione animale che nel giro di poco tempo, diviene una risorsa di evoluzione per le scimmie, una in particolare, Cesare, mentre per il resto dell’umanità diviene uno strumento mortale, con la decimazione del genere umano nel giro di pochi anni e solo una piccola percentuale di umani immuni al virus riesce a sopravvivere in piccoli avamposti.
Ciò che ha portato a The War, la guerra, è noto: Koba, il fidato braccio destro di Cesare, dopo averlo tradito, ha dato il via alla guerra definitiva tra umani e scimmie. Ora in questo capitolo Cesare dovrà guidare una guerra che non ha iniziato lui per decidere chi dovrà essere la specie dominante sul desolato pianeta Terra.

Tutti e tre i film hanno avuto fasi importanti della salita al potere di Cesare e mai come in questo caso, tutto il destino che c’è dietro al nome della scimmia più intelligente, è stato già scritto dalla controparte storica. Il percorso di Cesare sarà di tenere unito un popolo e rivendicare la propria identità (Rise), secondo atto cercare una convivenza pacifica con gli uomini e dover controllare i traditori, quali Koba che non vuole pace ma solo uccidere tutti gli umani (Dawn) e poi, nell’atto finale, tirare le somme di tutte le sue azioni.

Il Colonnello, interpretato sempre perfettamente da Woody Harrelson, è arrivato a dare la caccia a Cesare e tutte le altre scimmie, insieme al suo gruppo militare pesantemente armato, ma nel tessuto della storia e degli anni che stanno passando c’è una novità: il virus sta mutando, cercando di attaccare i restanti umani immuni. Come? Niente destino mortale, semplicemente privandoli dell’uso della parola.

Matt Reeves non ha a cuore la guerra, come riporta il titolo del film. La Terra è spacciata ormai, come gli umani. La saga di film è vissuta dagli occhi delle scimmie e ogni capitolo segna una parabola del condottiero Cesare, verso la totale libertà del popolo delle scimmie, accompagnando ogni evento dal quel sottile velo di pessimismo e tristezza che aveva già ricoperto la serie di film originali degli anni ’70. La catarsi e la presa di coscienza finale, quasi una maturazione necessaria, porta Cesare ad aprire gli occhi e rendersi conto di come si sia arrivati in questa situazione. Se lui ha combattuto per anni per allontanarsi dalla mediocrità dell’uomo, essere inferiore che riesce solo ad uccidersi a vicenda senza motivo, ora Cesare si scopre esattamente a immagine e somiglianza degli uomini. La vendetta lo sta consumando, il fantasma di Koba lo perseguita fino alla tragica rivelazione: forse rinnegare una propria natura emotiva e imporre leggi restrittive ha portato l’odio di Koba ad esplodere, a tradirlo e a dover perire sotto le sue mani. Cesare in questi anni si è comportato come un umano, troppo intelligente in un mondo che ti riempie di dispiaceri, fantasmi e rimpianti.

La natura stessa non si schiera da nessuna delle due parti. Il destino di Cesare è sempre più buio come quello degli esseri viventi, ma quest’ultimi ora devono affrontare l’ennesima beffa, la perdita della voce. Il Colonnello scopriremo non essere una persona equilibrata e quanto le scimmie, sta cercando anche di debellare questa piaga.
L’uomo che non riesce ad esprimersi è una bestia. Cogito Ergo Sum. Non importa quale sia il discorso, la stupidaggine o il pensiero, il semplice fatto di pensarlo e di esprimerlo, rende l’uomo libero, lo cataloga come essere vivente ed esistente. Il mondo è diviso e allo stesso tempo unito dal linguaggio. Tante lingue, ognuna diversa, stessi concetti ma difficoltà ad esprimersi e a farsi capire.

Entrano in un quadro di futuro destino ci sono due personaggi iconici, Nova e Cornelius, entrambi ‘omaggi’ ai rispettivi primi due film della saga originale de Il pianeta delle Scimmie. La prima, una bambina, è già affetta dal virus, è sola, senza genitori e deciderà di incamminarsi con le scimmie. Lei imparerà il linguaggio dei segni, così da comunicare con loro e anche identificarsi con loro. Ma Maurice, la parte saggia di Cesare la frena, lei non è una scimmia ma Nova. Un nome, la possibilità di identificarsi e quindi pretendere di esistere. Cornelius invece è il secondo figlio di Cesare, il più piccolo, quello che erediterà tutto. Due bambini con un destino in comune, ricominciare.

Cesare fa parte di quella umanità che, solo ora, ha capito essere stato il male maggiore, più ha cercato di distinguersi dagli uomini, più lui stesso diventava umano. I suoi errori dovranno rimanere circoscritti in quel nome e l’arrivo del nuovo giorno, deve trovare Cesare lontano dalla sua tribù, ora veramente libera di esistere.

Gabriele Barducci