
Dunkirk, sopravvivere a noi stessi
August 20, 2017In qualche modo, mi sono avvicinato al computer per scrivere di Dunkirk solo pochi giorni prima della pubblicazione di questo pezzo, nel momento in cui leggerete queste parole lunedì 21 agosto 2017, giorno della scadenza dell’embargo – vergognoso – italiano sul film in oggetto.
La paura, a una distanza così ampia dalla proiezione stampa (il film ci è stato fatto vedere a fine luglio) era quella di aver scordato il film, o peggio, perso le parole giorno dopo giorno. Un po’ di tempo è passato non nego, ma alla fine le parole erano lì, sui polpastrelli, di nuovo vive dalla voglia di essere impresse sul foglio virtuale di Word.
Il nuovo film di Nolan arriverà nelle nostre sale soltanto il 31 agosto ma siamo qui già a dirvi di non perdere assolutamente l’occasione di vedere questo impressionante esperienza cinematografica.
Memento, Inception, Interstellar, The prestige e Il Cavaliere Oscuro, tutti film che giocano con il tempo, tema caro al nostro Nolan. Per lui il tempo è la dimensione dove l’uomo esiste e riesce a dare un senso al passato e al futuro. Il primo deve essere un monito di insegnamento, l’esperienza da cui attingere per salvarsi la vita, il secondo è il futuro che si ottiene preservando l’oggi, combattere fino alla fine, 24 ore alla volta.
In tutto questo, all’interno di storie interessanti ma mai complesse, la decostruzione del tempo ha sempre regalato al regista inglese la possibilità di addentrarsi in altri temi, regalare umanità e la sua ricerca realista da applicare alle storie raccontate.
Lontano dalla pornografia esplosiva dei classici war movie, Nolan si ispira a Malick, in particolare durante i primi minuti del film, giovani soldati inglesi fuggono dal fuoco nemico in una piccola cittadina. Prima di questo, essi passeggiavano, si fermavano ad osservare il cielo, cercare con perizia qualche mozzicone di sigaretta, portarlo alle labbra, accenderlo e aspirare quel poco di tabacco rimasto. Gesti semplici e inconsulti, ma pieni di attenzione tecnica e audiovisiva.
Ne Il Cavaliere Oscuro, il Joker di Nolan metteva davanti a Batman numerose sfide a tempo, In Memento la stessa struttura narrativa decostruiva il tempo tramite il montaggio, in Interstellar la teoria della relatività rendeva pesante ogni secondo passato su schermo e in Inception i diversi piani di sogno avevano realtà temporali diverse. Fedele al suo modo di vedere e raccontare le storie, Nolan ce ne racconta tre di storie, una dura una settimana, un’altra un giorno e l’ultima un’ora. Noi le vediamo assieme, in un gioco di scatole che restituisce una sensazione di immersione mai vista prima.
In Dunkirk Nolan predilige la materia con cui si fa e si crea il cinema: l’audio e il visivo. Il tanto criticato minutaggio di ‘appena’ 109 minuti, sicuramente pochissimi messi a confronto con le titaniche tre ore di Interstellar, è una grande agevolazione per Nolan: egli così può sperimentare e cercare il suo frame perfetto; credo sia questo il motivo per cui le prime review lo mettevano a paragone con Kubrick tanto più di quanto successo con Interstellar.
Senza un vero protagonista – ogni storia raccontata ha il suo protagonista ma uno singolo universale a collegare tutti gli eventi non c’è – Nolan può concentrarsi con una narrazione veicolata tramite le immagini e i suoni. Non gli interessano le vicende, le motivazioni del conflitto o la sua risoluzione. L’evento, l’Operazione Dynamo è il cuore della narrazione e Nolan è il direttore d’orchestra. Tutto si muove sotto il suo minimale controllo, non c’è sbavatura o un’inquadratura fuori contesto. Il minutaggio minimale aiuta Nolan in questo, cercare la summa di tutto il suo cinema, cosa che si riassume in Dunkirk, che si rivela essere l’ennesima sfida mortale per un autore che ripropone nuovamente i temi a lui cari, ma confezionati di nuovo, creando sempre attesa e interesse nello spettatore.
L’uomo Nolaniano vuole tornare a casa, perché fuori da quelle quattro pareti c’è il caos. Dopo la sfida con il Joker, Bruce Wayne deciderà di ritirarsi e rinchiudersi nella sua villa, Cobb accetta l’ultimo lavoro, fare un innesto, solo per tornare a casa dai figli e dello stesso avviso sarà Cooper, viaggiare nello spazio e nelle dimensioni solo per tornare a casa, dai figli, da sua figlia.
Di nuovo, Nolan toglie motivazioni ed emozioni – elemento così freddo nel cinema di Nolan, ma che rende i suoi personaggi sempre più umani e sensibili – attorno l’evento bellico per incoronare l’unica missione: tornare a casa. Le coste dell’Inghilterra quasi si possono vedere dalla spiaggia francese. Casa è così vicina ma dannatamente lontana.
Occasioni storiche del genere segnano un monito per Nolan. Il vero nemico dell’uomo è, senza troppa novità, se stesso. Sopravvivere è il più grande atto d’amore che i personaggi Nolaniani hanno verso la propria persona e la propria esistenza. Resistere, anche sacrificarsi, e combattere giorno dopo giorno è la forma umana più elevata, quella forma che non deve cercare troppe motivazioni ma solo essere lodata.
Inutile dire se Dunkirk può o non essere Vero Cinema, perché – forse – non esiste un aggettivo giusto per catalogare questo film. Capolavoro è abusato ed ha perso di valore, esperienza cinematografica sembra racchiudere perfettamente il senso del film, ma c’è di più, c’è sempre qualcosa di più. Nolan così ci ha abituati e questo ci dona, sempre lo stesso film, ma ogni volta da piangere diamanti per la ferrea direzione tecnica.
Criticare Nolan, oggi e perdersi volutamente i suoi film in sala è il peggior crimine che un appassionato del settore può arrecarsi.
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