Venezia74: Suburbicon, o l’universo patinato dei Coen

Venezia74: Suburbicon, o l’universo patinato dei Coen

September 4, 2017 0 By Angelo Armandi

suburbicon posterSuburbicon, film in Concorso alla 74esima Mostra del Cinema di Venezia. Regia di George Clooney, che smorza poco, ma aggiunge molto, alla sceneggiatura dei Coen, ripescata tra i loro più antichi scritti. L’opera, infatti, pur con la direzione di Clooney, ricrea un perfetto universo coeniano: Suburbicon, ridente cittadina negli Anni Cinquanta animata da un perbenismo tutto di facciata, che sin dal nome evidenzia la propria natura “sub”, infima, insignificante, racchiude il paradosso di una civiltà fondata sulla superstizione, sul razzismo, sulla ferocia che si nasconde dietro l’uomo addomesticato e represso.
Gardner Lodge (Matt Damon), perfetto antieroe coeniano, sembra vittima di una serie di soprusi, da cui prova a districarsi, illudendosi di controllare gli eventi, con la presunzione di dominare il mondo in cui vive, al punto da poterlo frodare, assieme alla cognata Margareth (Julianne Moore, impeccabile). Eppure, come ogni pedina sulla scacchiera dei Coen, questi individui vengono travolti dalle loro stesse azioni, nel vortice dell’imprevedibilità delle cose, in cui la sorte agisce con un meccanismo talmente banale che persino la tragicità dei loro gesti viene ridicolizzata, trasformandoli in burattini goffi e irritanti.
Lo spirito grottesco della vicenda si nutre della commediola, che d’improvviso si tinge di tragedia, con picchi di straordinaria violenza (il villain stesso della storia è un grassone comico inquietante, generato dalla sostanza noir di Blood Simple nelle vesti dello sceriffo Visser), con attimi di orrore che dispiegano la reale matrice di crudeltà della cittadinanza di Suburbicon, una crudeltà talmente vellutata, e talmente cinica, che la regia patinata di Clooney, assieme al rimaneggiamento della scrittura, indeboliscono la matrice ironico-nichilistica dei Coen.

Il problema dell’incomunicabilità tra sostanza e apparenza, e il disvelamento della reale natura dell’uomo, vengono infatti raccontati dalla vicenda dei Meyer, famiglia di colore che si trasferisce in paese, ma i cittadini non riescono a tollerare la loro presenza in alcun modo, dando così inizio a una sequela di manifestazioni razziste che sfociano nella barbarie. Una vera sottotrama che, per quanto possa risultare affascinante nella comprensione del panorama dell’opera, rimane tuttavia inutile ai fini dell’intreccio, che sarebbe risultato meno fiacco se fosse stato più compatto, più claustrofobico, più permeato dallo humor nero che di tanto in tanto spunta in maniera più o meno efficace.

Allo stesso modo, alcune sequenze finali non collimano con una poetica pessimistica, che sarebbe stata forse più coerente con le premesse, e avanza lo spettro del buonismo, che piuttosto mira a focalizzare l’attenzione sulla speranza, e la possibilità di redenzione per le generazioni successive.

suburbicon 1

Angelo Armandi