
Venezia74: Caniba, una lente d’ingrandimento su Issei Sagawa
September 10, 2017Giovanni 6:53-56
53 Perciò Gesù disse loro: In verità, in verità io vi dico che se non mangiate la carne del Figliuol dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi.
54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda.
56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui.
Issei Sagawa, classe ’49.
Era il 1981 quando un giorno uccise la sua compagna di studi Renée Hartevelt con un colpo di fucile, per poi asportare 7 chili della sua carne e mangiarla nel corso di due giornate. Studiava letterature comparate alla Sorbona, Parigi. Un ragazzo gracile, timido, impacciato. Inabile a sostenere un processo, venne estradiato in Giappone, nella sua madre patria, dove grazie alla sua fama ed ad alcuni libri pubblicati vive tutt’ora di rendita.
Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor erano in Giappone per girare un film quando conobbero Issei Sagawa e, dialogando con lui, decisero di realizzare il documentario Caniba presentato in sezione Orizzonti alla 74esima Mostra d’arte cinematografica di Venezia. Se vi aspettate una pellicola che analizzi le teorie antropomorfe del cannibalismo, evitate pure di cimentarvi nella sua visione. Caniba è un prodotto totalmente differente, è il tentativo di descrivere sotto un’ottica meno scientifica colui che viene definito “mostro” (in Giappone lo chiamano “il mostro parigino” invece in Francia “il mostro giapponese”, non è buffo?).
Perché non parlare di cannibalismo al giorno d’oggi? Spesso l’opinione comune è ferma all’idea che il cannibalismo sia una conseguenza del colonialismo, ma così non è, almeno non se prendiamo in esame la storia contemporanea. È fondamentale capire chi siamo e quanto il cannibalismo faccia parte degli uomini. Issei Sagawa è un serial killer, questo è un dato di fatto, si è sporcato le mani e ha macchiato la sua anima di un delitto efferato, ma non dobbiamo dimenticarci che anche un omicida è una persona e dunque un essere dotato di emozioni. Il cannibalismo non è la manifestazione di un’insufficienza di sentimento, quanto invece, secondo lo stesso Sagawa, l’esatto opposto.
Che significato ha la follia? Quando ci si può definire una persona normale e dove risiede la normalità? Il documentario non si fa carico di offrirci delle risposte a tali domande, quanto più a portarci ad un’attenta riflessione sullo spettro delle pulsioni fisiche e non tanto su Issei Sagawa e la tragedia che lo ha reso famoso nel mondo. Il protagonista è profondamente pentito di ciò che ha commesso in passato, ma soprattutto preoccupato di un ritorno alla superficie dei suoi istinti cannibali. La sola cosa che sopprime la sua fame è l’appagamento sessuale perché per lui la carne è piacere, che sia ammirarla, che sia gustarla. Il cannibalismo è l’estensione degli istinti primordiali, l’auto-consapevolezza della parte animale che risiede nella profondità dell’io.
Per l’opinione pubblica Sagawa non è più una persona, la stampa lo ha demonizzato, sradicando ogni briciolo di umanità esistente in lui. Non è forse anche questa una forma di cannibalismo? Metaforicamente parlando, inglobare il corpo attraverso i media (che sia la televisione, il web od i manga) non è cannibalismo? Certamente non è al pari di divorare un essere umano, ma a suo modo è la frammentazione di un’identità ed al giorno d’oggi nulla è poi così privato e siamo tutti vittime di un sistema fatto di occhi elettronici che scandagliano ogni momento della nostra vita. Non c’è più la libertà di essere ma solo di esistere, anche se attraverso il riflesso della propria immagine e non in quanto persone in carne ed ossa. Ed è qui che Issei Sagawa ed il fratello (co-protagonista del documentario che pian piano si farà sempre più presente nelle scene) decidono di mostrarsi nella loro nudità più completa, di esporsi apertamente, rivelando l’un l’altro segreti a cui erano estranei. Sotto quest’aspetto, il documentario diventa l’espediente per un confronto fra fratelli. È un primo piano continuo, strettissimo sui loro corpi, la macchina da presa si trasforma in un’accurata lente d’ingrandimento che si limita ad osservare e cogliere i dettagli dei loro volti. I registi si sono sentiti liberi di esprimere la loro soggettività.
Dinanzi a soggetti come questi, risulta spontaneo cercare una giustificazione a ciò che è accaduto, è del tutto normale chiedersi il perché un uomo nutra certi desideri, ma il più delle volte una spiegazione non c’è. Caniba è un documentario grezzo, ma non nel senso negativo del termine, anzi, è un atto di coraggio ed umiltà che probabilmente riscontrerà l’approvazione di pochi. Chi lo definisce mostruoso forse non ne ha colto l’umanità, come coloro che in Issei Sagawa vedono solamente il profilo di un demonio e nulla più.
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