
Venezia74: The Cousin, il movente familiare
September 13, 2017Una vera rivelazione di questa 74a Edizione del Festival Internazionale del Cinema di Venezia è rappresentata dalla promettente produzione cinematografica israeliana di notevole fattura, non solo per il tratto narrativo ma anche per una raffinata e curata tecnica registica. Oltre all’acclamato Foxtrot (regia di Samuel Maoz) presente in concorso, tra i differenti prodotti presentati spicca, all’interno della sezione Orizzonti, il titolo Ha Ben Dod (The Cousin) diretto dal regista e attore Tzahi Grad. Tutto ha inizio da una storia che recita così: “Il bambino [Ismaele] crebbe e fu svezzato e Abramo fece un grande banchetto quando Isacco. Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana, quello che essa aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. Disse allora ad Abramo: «Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco». La cosa dispiacque molto ad Abramo” .
È una storia antica, arcaica, contenuta nel testo Biblico della Genesi, ha attraversato i secoli e ha segnato il primo punto di svolta per le religioni monoteiste, la risonanza dell’avvenimento ha una potenza tale che si protrae nel tempo e nello spazio fino ai nostri giorni. È la storia di grande inimicizia che lega ebrei e musulmani alla base di questa struttura narrativa, una gelosia primitiva che scaturisce tra i membri della stessa famiglia una famiglia allargata, a generare separazione e inimicizia.
Questa è la storia che racconta il musulmano manovale Fahed (Ala Dakka) alla famiglia ebrea del proprio datore di lavoro Naftaly (Tzahi Grad), alla moglie Yael (Osnat Fishman) e ai due figli, durante un momento di convivialità. Il movente religioso ritorna imperante nella trama di The Cousin, due cugini divisi tra sospetti e pregiudizi primitivi che hanno un riflesso all’interno della società attuale, attraverso odi e razzismi come fatto culturale che influenzano le rispettive confessioni religiose. Esplicativo è l’atto della chiusura della porta a vetri che andrà a dividere fisicamente Fahed da Naftaly, in un atto fisico ma anche metaforico di tale arcaica condizione, una barriera religiosa ed etica che ferisce più di mille parole.
La vicenda si dipana a partire da un’incomprensione che colpisce il soggetto nuovo e minoritario, Fahed, il giovane operaio che Naftaly, autore televisivo, assume per la ristrutturazione del proprio studio-cottage. Uno stupro viene perpetrato nelle vicinanze del luogo e il giovane verrà fin da subito ritenuto colpevole tranne che per Naftaly che si batterà fin da subito per osteggiare le ostilità che la comunità ebraica nasconde.
Il film presenta questa critica esplicita ad un’inimicizia che di generazione in generazione si tramanda tra i rispettivi orientamenti religiosi al fine di intraprendere un percorso di reciproca tolleranza.
La trama non risulta niente di originale recuperando argomenti già visti; tuttavia, la storia assume tratti irriverenti e divertiti dovuti a una serie di malintesi che creano il risvolto comico. La scelta di mettere in scena l’aspetto privato e personale della persona da vita all’aspetto divertente e giocoso, come il sollevarsi leggermente per dare fiato al proprio sedere o le battute che si scambiano figlia e padre mentre quest’ultimo è seduto sul gabinetto in atto di evacuazione. Dal punto di vista registico non ci sono notevoli sviluppi; solo l’inizio ha una soluzione tecnica interessante che vede la macchina da presa fissa rimanere all’esterno dell’abitazione e inquadrare dall’alto la casa. E dove l’immagine non pervenire, ecco che l’audio aiuta ad intuire ciò che sta avvenendo: qualcuno si alza, va in bagno, tira lo sciacquone e si prepara per uscire. L’inquadratura cambia e con la mdp a piombo sul campo visivo vediamo un uomo uscire di casa, montare in auto, mettere in moto e uscire dal vialetto e di campo.
Un bel gioco di ombre si crea durante l’incontro tra Naftaly, illuminato dai lampioni della strada che percorrono, e Fahed, in ombra, così da lasciare un alone di mistero sulla sua figura e la sua identità che per brevi istanti rimane ignota. Nel film è presente anche un breve cameo dell’attore israeliano Lior Ashkenazi, protagonista principale del sopra citato Foxtrot, che qui compare nella conclusione, innescando il motivo brillante.
The Cousin risulta un prodotto piacevole, non eccessivamente impegnativo che lascia spazio a momenti di riflessione alternati ad altri leggeri, conferendo toni calorosi al contesto narrativo.
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