Venezia74: Un caffè, un “purito” e due chiacchiere in compagnia di Lucrecìa Martel, regista di Zama

Venezia74: Un caffè, un “purito” e due chiacchiere in compagnia di Lucrecìa Martel, regista di Zama

September 15, 2017 0 By Elisabetta Da Tofori

Sono passate circa ventiquattro ore dalla nostra visione del film Fuori Concorso della regista argentina, Lucrecía Martel, Zama. In questo arco di tempo abbiamoavuto tempo e modo di metabolizzare e di contestualizzare l’opera filmica ad un livello più profondo che va oltre l’aspetto superficiale del visivo, addentrandoci, così, nell’inquietudine e nella solitudine esistenziale del protagonista.

Da queste nostre riflessioni, scaturiscono considerazioni intimistiche che in un “charla” con la regista abbiamo avuto modo di approfondire.

Ad una prima visione del film, ho riscontrato che il tema della morte è fortemente presente e aleggia per tutta la durata del film. Possiamo percepire una morte esteriore e interiore del personaggio di Zama. Questo sentimento lo possiamo avvertire sia dal racconto del pesce, animale che ha bisogno di una forza straordinaria per rimane all’interno del suo ambiente naturale, resistendo così alla forza dell’acqua che tende a spingerlo al di fuori che nell’elemento stesso dell’acqua concepito come simbolo di morte. Come ha sviluppato questo tema in fase di lavorazione?

Innanzitutto, nel mio lavoro non faccio niente con l’intenzione di creare delle simbologia o delle metafore, poiché non penso in questo modo. Ma capisco a cosa ti riferisci riferendoti percezione della morte in Zama, ma per me ciò che può condurre alla morte è la rigidità.
Una persona – come il personaggio di Zama – che crede di essere qualcuno e che per questo meriti una ricompensa, il trasferimento e un riconoscimento da parte del re perché lui ha fatto qualcosa degno di nota.
Io credo che se uno ha talento nella vita, la cosa più probabile è che perisca spiritualmente, mentre la rigidità condanna al fallimento. È improbabile che una persona si aspetti che tutto ciò che immagina di se stesso possa realizzarsi e che l’universo ti ricompensi in funzione di ciò.

Se il romanzo verte sul tema dell’attesa, per me il film tratta dell’identità come carcere, quando uno non crede in se stesso e si chiude, si isola in se stesso.
In Latinoamerica, e in particolare in Argentina, spesso i giornalisti parlano del problema dell’identità dell’Argentina; si parla di un paese di migranti provenienti da ogni parte e con radici indigene, che premetto sono radici negate, maltrattate, umiliate. Però è presente e forte questa radice indigena.
Si parla sempre dell’identità, ma sembra che l’aspetto buono della nostra cultura è che possediamo un’identità molto mescolata; è una sciocchezza il fatto di voler conseguire un’identità. Non so, perché? Per difendere i confini da non so quale minaccia?

zama lucrecia martelOra io sono a favore che ogni persona faccia quello che voglia con il proprio corpo e con la propria vita; però mi sembra che questo comportamento attuale e possessivo che molta gente, presumibilmente progressista possiede, e che consiste nell’investire economicamente per ottenere un’identità sessuale attraverso gli ormoni, le operazioni. In questi casi, obbligare il tuo corpo ad uno stato definitivo, quando in verità da sempre esiste il travestimento, il parrucchiere, il trucco; sono tutte cose con le quali uno può modificare la sua identità sessuale. Se vuole, può essere un giorno una cosa e l’altro giorno un’altra.
Mi sembra una stupidità quello che si sta facendo, come l’eccessiva sponsorizzazione di questi luoghi dove si investono soldi per questo tipo di trasformazioni mediche; quindi quello che voglio dire è che l’identità come l’identità sessuale che è in gioco, deve essere qualcosa di mobile, non rigida perché siamo tutti organismi in movimento.

Credo che la nostra cultura vada verso questa mobilità, che spesso viene meno perché sottomessa a questa capacità di metamorfosi che possiede il corpo.
Voglio chiarire questa affermazione perché risulta molto polemica. Sono totalmente a favore che ciascuna persona faccia quello che voglia. Ma sono contraria che una persona con libertà sessuale necessiti della medicina o abbia bisogno di un investimento di denaro per modificazioni corporee; perché così l’identità sessuale va ad essere solo un privilegio per la gente ricca che possiede i soldi, assicurazioni sociali.

La sessualità deve essere libera, economica, non deve costare molto e in questo senso se qualcuno vuole farlo perché ed è molto determinato che lo faccia; però dobbiamo sapere che stiamo trasformando l’identità sessuale in qualcosa di molto costoso e di elite, accessibili per le persone con denaro, e su questo non sono d’accordo!
Faccio questo esempio della sessualità perché queste sono tutte cose con le quali Zama, perché è il «corrigidor», pensa di meritare determinati riconoscimenti, come avviene per le persone che sentono di essere un uomo nel corpo di una donna o una donna nel corpo di un uomo, allora sono queste le cose che determinano e che io affermerei che sia un’immagine di morte e che le persone possano definirsi sempre in modi differenti, questa è per me l’idea più importante del film.

(Intervista a Lucrecía Martel condotta da Elisabetta Da Tofori in data 1 settembre 2017 presso il  Club 74 all’interno del Palazzo del Cinema, Lido di Venezia. Un ringraziamento particolare a Richard Lormand e Federico Mancini per la disponibilità e l’organizzare dell’ incontro)

 

Elisabetta Da Tofori
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