Venezia74: Ryuichi Sakamoto: Coda, immagini dai suoni e suoni dentro le immagini

Venezia74: Ryuichi Sakamoto: Coda, immagini dai suoni e suoni dentro le immagini

September 15, 2017 0 By Simone Tarditi

In musica, con il termine coda s’intende un passaggio che conduce alla conclusione di un brano, alla sua fine. Quasi un atto di tenerezza tanto verso il componimento quanto per l’uditore, come scambiarsi delle carezze che preludono al crollare nel sonno dopo aver fatto l’amore.
Il documentario Ryuichi Sakamoto: Coda inizia da una fine. È il 2012, un anno dopo il terribile tsunami che ha provocato il disastro nucleare di Fukushima. La cifra complessiva di morti, feriti e dispersi si aggira attorno alle venticinquemila unità. 25000 vite devastate. Il compositore giapponese estrae dal fango un pianoforte e lo suona. La zona è fortemente contaminata, lui gira senza una maschera di protezione. Respira quell’aria. Due anni dopo gli verrà diagnosticato un cancro alla faringe. “Mi sembrava di suonare il cadavere di un pianoforte”, dice. Il suono è accettabile per un ascoltatore medio, ma per un orecchio sviluppato come il suo non lo è affatto. Quello strumento viene resuscitato come un morto. Pulito, accordato, rimesso in sesto. Anche la musica ha un’anima.

Percorrendo gli stadi della malattia (ad oggi, si spera per sempre, sconfitta) attraverso le cure antitumorali e le composizioni musicali, Ryuichi Sakamoto: Coda illustra con delicatezza l’uomo che si cela dietro lo strumentista e compositore d’indimenticabili colonne sonore. Paradossale, per l’appunto e forse solo in apparenza, che un documentario su un musicista diventi anche un documentario sul cinema: le “competizioni” con Ennio Morricone per le musiche dei film di Bernardo Bertolucci, l’influenza assoluta delle pellicole di Andrej Tarkovskij (soprattutto Solaris), la collaborazione con David Bowie dietro e davanti la cinepresa di Nagisa Oshima e del suo Furyo, ma non solo.

Dopo aver accettato di curarsi, Sakamoto inizialmente decide di non suonare per un anno intero perché vuole concentrarsi solo sul guarire, ma quando gli viene proposto di scrivere la soundtrack di un film americano, non riesce a dire di no. Si tratta di Alejandro González Iñárritu e del suo The Revenant. La paura che il cancro prenda il sopravvento e l’evocative immagini di neve, violenza e vendetta contribuiscono alla scrittura di brani che sembrano fuoriuscire dalle più tenebrose voragini dell’animo umano.

Sakamoto CODA

Via via che il minutaggio procede, tra gli interni newyorkesi di casa Sakamoto dove domina il silenzio inframmezzato dal suono prodotto dagli strumenti musicali e gli esterni in boschi dove si odono sinfonie di canti d’uccelli, Ryuichi Sakamoto: Coda ci accompagna in un viaggio all’interno della mente di un’artista vero. Ogni rumore è uno stimolo, una possibile fonte d’ispirazione. Il musicista si rinchiude dentro i suoni, lì trova significati perduti. L’orrendezza e la spietatezza del mondo alla lunga possono diventare insostenibili ed esiliarsi mentalmente da un momento storico, trovando rifugio nella propria musica, sembra essere ben più di una buona idea. Sembra essere un piano. L’attivismo contro l’utilizzo dell’energia nucleare è una battaglia da ingaggiare quando si esce fuori di casa, ma è al riparo delle quattro mura domestiche, in stanze zeppe di libri, DVD, percussioni, strumenti a corda, tastiere che Sakamoto (e non solo lui) riesce a trovare una dimensione in cui potere stare bene e per qualche ora dimenticarsi pure di stare combattendo contro il cancro. Musicoterapia imprescindibile in un percorso di cura.

Presentato nella sezione Fuori Concorso della 74ma Mostra del Cinema di Venezia Ryuichi Sakamoto: Coda è una toccante elegia tutt’altro che funerea, una prova di fedeltà verso la musica, il cinema, la vita.

Simone Tarditi