
Dunkirk, capolavoro di guerra
September 20, 2017Dunkerque, 1940. Gli Alleati sono costretti sulla costa Nord francese dall’invasione dei tedeschi, pronti a prendere in trappola il nemico che non ha vie di scampo oltre al mare. Nella disperata situazione, si intrecciano le storie di alcuni soldati: un pilota della Raff, un signore di mezza età che risponde all’appello di Churchill e attraversa la Manica per portare via i soldati dal territorio francese, tre soldati semplici che sperano con tutto il cuore di portare a casa la pelle.
Sulle rive di Dunkerque si consuma un dramma tutto umano: c’è l’eroe, salutato con grandi onori dai suoi commilitoni. C’è il signore quasi stempiato pronto a tutto in nome del patriottismo. Ci sono due o tre scalcinati che escogitano un sotterfugio dopo l’altro pur di rivedere le bianche scogliere di Dover. È la guerra, bellezza: senza ipocrisie né retorica, il capolavoro di Nolan spariglia le carte del genere guerresco e mette in campo tutta la casistica umana possibile. Ci sono eroi riconosciuti, prigionieri di guerra, eroi ignoti ed eroi occasionali. Nel film nessuno prevale sull’altro, giacché tutti fanno parte di quella grande tragedia che è la vita. Finalmente un film di guerra senza personaggi macchietta, come il nero, il francese, l’inglese, il muso giallo, quello pavido, quello portato per la guerra che morirà gloriosamente sul campo. L’immedesimazione è totale: mai s’era provata così tanta empatia per i personaggi e per il loro destino; Nolan ci porta nel cuore della guerra e come pochi altri ci costringe a pensare che noi potremmo essere loro. Non esistono glorie, non esistono vergogne, né vincitori né vinti: alla fine del film, Tom Hardy, appena atterrato in territorio nemico, viene catturato dai tedeschi mentre risuonano le dichiarazione di Winston Churchill. Il film non si chiude con l’eroismo di Tom Hardy, ma con l’immagine di Tommy, giunto illeso in Gran Bretagna con grande senso di colpa per essere salutato come un eroe quando sa benissimo di non esserlo.
Nolan orchestra una magnifica sinfonia capace di ritmare il respiro dello spettatore secondo gli avvenimenti della storia. In Dunkirk non c’è un difetto, neanche una minima imperfezione; i tre motivi – aria, acqua, terra, che dette così sembrano schematiche e fanno l’effetto di chi prima studia i film invece di guardarli – si intrecciano così bene, con ogni scena che rimanda all’altra secondo nessi non casuali, che il film è animato da una tensione continua, arricchita dalla sapiente scala Shepard di Hans Zimmer. Non esistono momenti di stasi in Dunkirk, le navi mugolano come le balene di Moby Dick, nel cielo sfrecciano i caccia senza un momento di tregua. Rigido nella struttura triadica, ultradinamico nel montaggio, Dunkirk ha i suoi tre personaggi principe per ogni elemento: Kenneth Branagh monolitico per le scene della spiaggia, Mark Rylance dal viso dolce come le acque della Manica, il volto che non si vede prima del finale di Tom Hardy, chiuso com’è nella cabina del suo aeroplano. Belli da togliere il fiato i piani lunghissimi, magnifica la fotografia di Hoyte von Hoytema, che vuole ogni ambiente con la sua luce specifica: la spiaggia, le scene sott’acqua, quelle sulle navi, la cabina di Tom Hardy. Da vedere nella migliore delle condizioni possibili: con uno schermo degno di questo nome, e rigorosamente in inglese. Nel doppiaggio italiano sono stati in grado di rendere ridicole anche le dichiarazioni ufficiali di Winston Churchill.
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