
L’uomo di Neve, cronaca di una gestazione problematica
October 12, 2017Ci sono i film. Ci sono i romanzi. Poi ci sono i film tratti da romanzi. Alcuni sono belli. Altri meno belli. Altri ancora risultano più riusciti anche del romanzo (vedi Jurassic Park o Mystic River).
Jo Nesbø, autore norvegese che con i suoi romanzi tra il thriller e il noir ha riscosso molto successo tra i lettori del mondo, ancor di più quelli Europei, vede al cinema incarnare il suo Harry Hole nel viso e corpo di Michael Fassbender.
La produzione è una di quelle che ci tiene a portare su schermo un thriller sopraffino, qualcosa alla Gone Girl, Seven o simili.
Prima Scorsese, poi Morten Tyldum, la regia solo in terza battuta è stata affidata a Tomas Alfredson, il quale ci si sarebbe aspettato un lavoro sopraffino (abbiamo amato altamente il suo La Talpa come abbiamo scritto tempo fa). Purtroppo il lavoro finale è il risultato di numerosi interventi alla sceneggiatura, un montaggio alienante e una canonicità narrativa che ne ha sancito il giudizio complessivo.
Forse tra tutti, Michael Fassbender cerca di tenere in piedi come può una baracca destinata a cadere da un momento all’altro, per difetto sia tecnico che narrativo.
Lo stesso stile geometrico e raffinato di Alfredson è vano, fumoso, mai incisivo, insomma c’è il suo nome ma lo stile è di tutt’altro. Andando un poco ad investigare la questione, guardando il trailer promozionale e a film visionato, ci accorgiamo di come non una, due o tre, ma almeno tre quarti delle scene mostrate nel trailer, non sono presenti nel montato finale.
Quindi sorvoliamo su un problema di montaggio per identificare il vero problema del film, ovvero la produzione: questo film ha visto una totale revisione e reshoot da parte della produzione che ne ha cambiato drasticamente il finale, come le sorti del film.
Conosciamo il cinema di Alfredson e l’attesa per questo film scaturiva proprio dal perfetto accostamento di una regia stilisticamente fredda ma intensa, che nel caso della storia narrata, la caccia ad uno spietato serial killer nella fredda e gelida Oslo, si sposava perfettamente, sia con il regista che con tutti i nomi dietro.
Evidentemente, con risorse che sono andate via sempre in perdita, il primo montato, come suggerisce il trailer, mostrava un film più crudo, cattivo, con un finale lontano dal classico happy ending che invece presenta. Quindi via, corsa ai ripari, reshoot pesanti di gran parte del film (ci sono delle sequenze in esterna che in realtà sono girate in studio con il green screen, una cosa raccapricciante), un montaggio veloce e alla buona, pur di mandare in fretta e furia il progetto nelle sale, venderlo come thriller di alto borgo e poi scappare con il malloppo.
Non siamo qui certo a deridere alcune scelte grossolane di sceneggiatura, peggio ancora i terrificanti effetti in cgi per coprire al volo. Forse di grandi aspettative nessuno si era ubriacato, ma già dalla scarsa campagna marketing doveva essere un segno nefasto per il pubblico incuriosito.
In un modo o nell’altro il film andrà benino al boxoffice grazie a quel pubblico che si avvicinerà al film magari incuriosito o appassionato dai romanzi di Jo Nesbø, ma ogni azione oltre questa appena citata, rientra nel masochismo puro.
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