
Le Redoutable: il mio Godard è uno stronzo, ma anche un genio
November 7, 2017Non esce fuori un ritratto particolarmente edificante di quello che è considerato uno dei più grandi registi del dopoguerra. Questa, la prima considerazione de Le Redoutable, che per la distribuzione italiana diventa magicamente Il mio Godard (che poi, mio de che? Nostro, semmai).
Un film su Jean-Luc Godard vittima di quella stessa inarrestabile consuetudine italiana nello stravolgere i titoli a causa della quale, già una cinquantina d’anni fa, Pierrot le Fou è diventato Il bandito delle 11. Insomma, una tentazione irresistibile. Tentazione diversa, ma ugualmente fastidiosa, quella perseguita dallo stesso Michel Hazanavicius nel citare spesso le opere più famose di Godard: dai perfetti fondoschiena de Il Disprezzo alle lacrime dentro la sala cinematografica di Vivre sa Vie.
Replicare, copiare pedissequamente, omaggiare, evocare. Alla lunga, il giochetto stufa un po’ ed è l’elemento che più dispiace perché Le Redoutable è molto più interessante quando narra della carriera e della vita di Godard senza fronzoli o abbellimenti. Insomma, quando lo fa Tarantino si ha sempre l’impressione che stia anche reinventando, quando lo fa Hazanavicius è la riproposizione pressoché identica di qualcosa già noto e il regista di The Artist finisce col sembrare compiaciuto di quello che altro non è che citazionismo fine a se stesso, superfluo. Per dire, Fritz Lang (2016, regia di Gordian Maugg) sulla lavorazione di M – Il Mostro di Düsseldorf è un esempio antitetico di come si possa fare cinema sul cinema senza grossi attaccamenti al passato.
Dalle riprese de La Chinoise (l’anno è il 1967) allo sconforto per la gelida accoglienza riservatagli quando esce nelle sale, dal Maggio francese con i suoi movimenti di ribellione propagatisi in tutto il mondo (in una sola parola: il ’68) allo sconforto e smarrimento per lo svanire di quegli ideali, la vita di Jean-Luc procede verso una non-direzione. Il Maestro della Nouvelle Vague, le fattezze son però quelle dell’attore Louis Garrel, è guidato da un senso di miopia nei confronti di tutto ciò che gli sta intorno: tratta malissimo chiunque, non si cura dell’amore per sua moglie, pensa solo a se stesso, si reputa il migliore, crede di essere vicino alla gente comune, ma non è così.
La decomposizione del rapporto con l’attrice Anne Wiazemsky (interpretata da Stacy Martin), dalla cui autobiografia Hazanavicius ha basato la sceneggiatura del suo film, costituisce la parte più a fuoco di tutto Le Redoutable. La loro relazione, mese dopo mese, s’incrina fino a punto di non ritorno. Tra i due ci sono diciassette anni di differenza, divario anagrafico tuttavia non tale da essere il motivo della crisi costante che la coppia vive. Quando si sposano, lei ha vent’anni, è nel fiore degli anni e vuole vivere intensamente ogni momento della vita, lui ne ha quasi trentasette, non è capace di gioire per nulla e arde solo per lo spirito della Rivoluzione senza riuscire a calarsi mai totalmente nella realtà di quegli anni (“Ecco cosa è diventato Godard, una celebrità che fa finta di essere un rivoluzionario”).
Critica gli altri, ma è incapace di un’autoanalisi; offende gratuitamente il prossimo, ma vuole che gli altri spendano belle parole per lui; vuole essere amato, non sa amare; pensa di poter dare lezioni a tutti, non è capace di ascoltare i consigli delle persone che gli stanno vicino; crede di essere un punto di riferimento per le classi sociali subordinate, ma è solo un ricco borghese che invece si è isolato da tutti. In breve, Godard è uno stronzo, ma anche un genio del cinema. Quel che gli manca per vivere meglio è il provare empatia, la comprensione dei sentimenti altrui e dei suoi limiti e su essi lavorare. Che il ritratto dipinto ne Le Redoutable sia realistico oppure no è tutta un’altra questione. Prendendo per buoni gli aneddoti narrati da colleghi e amici del regista (a tal proposito, si rimanda il lettore allo scambio epistolare con F. Truffaut nel 1973), il Godard di cui si parla nel film non doveva poi essere così diverso da com’era nella realtà.
Ad oggi, cinquant’anni dopo La Chinoise, l’ottantaseienne filmmaker francese non solo sta ancora facendo cinema (l’uscita del suo prossimo lavoro dietro la macchina da presa, Le livre d’image, è uno degli eventi cinematografici più attesi del 2018), ma è sopravvissuto agli altri fondatori della Nouvelle Vague: Resnais, Chabrol, Rivette, Marker, Rohmer e allo stesso Truffaut, morto prima di tutti. È rimasta solo Agnès Varda, classe 1928, che ai prossimi Oscar verrà omaggiata col premio alla carriera. Nel 2010, quella statuetta è stata attribuita anche a Godard, il quale non ha presenziato alla cerimonia.
Mentre Vasco Rossi canta “Questo stupido, stupido hotel”, si dice che Godard in persona abbia definito Le Redoutable solo una “Stupida, stupida idea”. Suona un po’ come un “Fottetevi, voi che andrete a vederlo”. Ha ragione lui, ma l’aver fatto un film utilizzando proprio Godard (persona, personaggio, protagonista) suona già di per sé un’invenzione troppo godardiana, per potervi resistere, quindi … ah, c’è dell’incoerenza in tutto ciò? C’est bon.
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