
TFF35: Seven Sisters, intervista a Noomi Rapace
November 27, 2017In uscita nelle sale italiane il 30 novembre, Seven Sisters è stato presentato durante la 35ma edizione del Torino Film Festival. Distopia e grande intrattenimento, ecco la formula magica del lungometraggio fantascientifico diretto da Tommy Wirkola. Pochi effetti speciali (il giusto, senza esagerare), niente alieni o navicelle spaziali. Seven Sisters è spaventosamente attuale e preannuncia un mondo non così lontano da quello che le future generazioni potrebbero ereditare.
Vero Cinema ha avuto la fortuna di fare quattro chiacchiere con la protagonista Noomi Rapace, salita alla ribalta internazionale quasi dieci anni or sono con la trilogia di Millennium e successivamente con Prometheus, Passion, Dead Man Down, The Drop e Child 44.
Nel film, Noomi interpreta otto ruoli differenti. Mai prima nella storia del cinema si è assistito a qualcosa del genere. Come avrà fatto l’attrice a gestire tutto ciò?
Qual è stata la tua prima reazione quando hai letto la sceneggiatura e hai capito che avresti dovuto interpretare otto personaggi diversi, molti dei quali contemporaneamente presenti nella stessa scena?
Ero terrorizzata [ride], ma allo stesso tempo anche elettrizzata. Sapevo però che, se tutto ciò non avesse funzionato, la colpa sarebbe ricaduta su di me perché gli spettatori non avrebbero fatto altro che ricordare il mio volto e associarlo al film. Non si sarebbe più chiamato What Happened to Monday [Titolo originale di “Seven Sisters”, NdR], ma The Disaster of Monday. La realtà che mi piace essere messa alla prova e mi piace ancora di più fare delle cose che sembrano impossibili. Non è mai stata fatta una cosa del genere prima d’ora, ovviamente è già successo che degli attori dovessero interpretare più personaggi nello stesso film, ma in Seven Sisters i personaggi sono quasi tutti nella stessa scena, interagiscono tra di loro. Per riuscire a gestire tutto ciò ho lavorato a strettissimo contatto con il regista Tommy Wirkola e gli sceneggiatori Max Botkin e Kerry Williamson in modo tale da rendere unico e stratificato ognuno dei personaggi.
Tecnicamente parlando, fare qualcosa di questo genere è un’impresa.
È stato davvero importante per me non cadere nei cliché e soprattutto che ogni sorella non fosse solo un personaggio della sceneggiatura, ma che fosse reale. Quando ho impersonato ognuna delle sorelle ho dovuto immaginare che le altre fossero fisicamente presenti, quasi come delle creature viventi. Il mio terrore era che tutto tecnicamente funzionasse bene grazie alla computer grafica, ma che lo spettatore potesse avvertire che non potevo duplicarmi in ognuno dei ruoli contemporaneamente. Mentre adesso io e te stiamo parlando reagiamo ai movimenti facciali e del corpo l’uno dell’altra, si fanno delle pause, c’è della naturalezza perché sta succedendo davvero. Girare un film a livello realizzativo complesso come Seven Sisters ha determinato che io dovessi immaginarmi cosa facessero gli altri personaggi che avrei dovuto interpretare o di cui avevo appena girato la scena. Ho dovuto pianificare ogni cosa, ogni gesto, ogni momento. Un lavoro estenuante! [Ride]
In “Seven Sisters” si fa riferimento a una società dove tutto è gestito digitalmente, una prospettiva non così lontana dalla realtà. Tu non sei particolarmente attiva sul web, non usi quasi i social e tieni molto alla tua privacy.
Non sono mai stata su Facebook o Twitter, non so neanche come funzionino. Ho gestito per un anno un profilo Instagram dove ho postato aggiornamenti costanti sulla lavorazione proprio di Seven Sisters perché mi era stato chiesto di farlo e solo ora, quasi due anni dopo, sto pensando di ritornare a usarlo. In questo momento, comunico col mondo attraverso i miei film e i giornalisti. Non voglio che tutta la mia vita diventi di dominio pubblico.
Credi che rendersi sempre pubblicamente “accessibili” costituisca una distrazione tanto per te come attrice quanto per chi guarda i tuoi film?
Assolutamente sì, è anche questo il problema. Se mentre giro un film faccio una foto e la posto su internet è come se uscissi da quella “bolla” in cui amo stare quando sono sul set. È come se improvvisamente stessi analizzando me stessa. Non voglio diventare io stessa la regista di quello che faccio, non voglio essere io a decidere quale sia il mio profilo migliore, da quale angolazione mi piaccio di più, quale filtro scegliere. Non voglio pensare a me stessa in questo tipo di prospettiva.
(Intervista all’attrice Noomi Rapace condotta da Simone Tarditi in data 26 novembre 2017 presso l’Hotel Principi di Piemonte, Torino)
- Le palle d’acciaio di The Caine Mutiny Court-Martial - September 11, 2023
- Appunti sparsi su Crimini e misfatti - September 8, 2023
- Quell’unica volta in cui Douglas Sirk si diede al genere western - August 29, 2023