
TFF35: Tokyo Vampire Hotel, una barocca orgia di sangue
December 3, 2017Senza Sion Sono che Torino Film Festival è? Dopo la retrospettiva a lui interamente dedicata nel 2011 e che l’ha visto ospite di punta della 29ma edizione, dopo la sfilza di altri suoi titoli proiettati negli anni successivi (Land of Hope, Tokyo Tribe, Tag, Shinjuku Swan, Love & Peace, Antiporno), anche durante il TFF35 è stato riservato uno spazio d’onore per il regista giapponese e la sua ultima fatica: Tokyo Vampire Hotel.
Originariamente una mini-serie tv in nove puntate prodotta da Amazon e successivamente condensato in una versione cinematografica da 140 minuti che ha fatto il giro di qualche festival, Tokyo Vampire Hotel è quell’intrattenimento per piccoli e grandi schermi che un paese bigotto e perbenista come l’Italia può solo sognarsi di poter mai realizzare. Qualche dettaglio sulla bizzarra trama: Manami è nata nel 1999 nell’esatto istante in cui tutti i pianeti del sistema solare si sono allineati a formare una croce e per questo astrale motivo, compiuti 22 anni, diventa una preda tanto per la stirpe dei Dracula quanto per quella dei Corvin. Contemporaneamente, un matching party viene organizzato all’interno di un misterioso hotel dal quale gli ospiti rischiano di non uscire mai più. Nessun problema, tanto il mondo intero sembra essere stato spazzato via. Nonostante i sanguinosi scontri tra vampiri e mortali, forse ci può ancora essere un briciolo di speranza per l’umanità.
Accantonando per un nano-secondo le attuali polemiche relative a turni di lavoro estenuanti e salari da fame per i dipendenti (giovani e meno giovani) dell’impero tirannico di Jeff Bezos, che genere di prodotti televisivi e cinematografici stanno uscendo grazie ad Amazon? Per citarne i più importanti: gli ultimi lavori di Woody Allen (dalla mini-serie Crisis in Six Scenes del 2016 a Wonder Wheel, a breve in uscita nelle sale italiane) e il documentario Human Flow di Ai Weiwei passato a Venezia qualche mese fa. Amazon ha collaborato / collaborerà anche per la distribuzione dei seguenti titoli: The Neon Demon, The Lost City of Z, Wonderstruck, Last Flag Flying, Suspiria (l’atteso remake di Luca Guadagnino), You Were Never Really Here di Lynne Ramsay, A Rainy Day in New York (ancora Woody Allen) e moltissimi altri, passati e futuri. Questione morale o meno, non si può negare che Amazon voglia tagliarsi una fetta di torta sempre più grande all’interno dello show business di qualità.
Tokyo Vampire Hotel è una barocca orgia di sangue a base di musica metal, spadoni medievali, quadri di Hieronymus Bosch e reggiseni con borchie. Nel Giappone del 2021 le Olimpiadi sono ormai finite (tra sfiducia e delusione, Sion Sono ne aveva parlato ampiamente nel suo Love & Peace) e hanno lasciato dietro di sé solo macerie, povertà e una classe dirigente di vecchie mummie e vampiri che dissanguano il paese mentre ripetono parole vuote sugli schermi televisivi. Con Tokyo Vampire Hotel, il regista ritorna nel suo environment preferito (il quartiere di Shinjuku), ma ambienta una parte importante della sua storia anche in Transilvania, nelle miniere di sale di Turda e soprattutto in un hotel all’interno del quale è impossibile orientarsi.
L’hotel, abbellito da dipinti rinascimentali, pacchiane scalinate e fontane tipo la villa di Tony Montana in quello che è il classico tripudio kitsch per cui si ama Sion Sono, è allo stesso tempo anche una creatura vivente, fatta di tessuti membranosi, che fagocita corpi umani e trae nutrimento da essi. Contorcimenti di anime destinate a essere digerite per l’eternità e il cui sangue serve a nutrire una ristrettissima élite di vampiri centenari.
Metafora dello sfruttamento delle classi subordinate per mano di quel famoso 1% che governa il mondo? Sì. Allegoria viscerale della metamorfosi del proprio corpo come già sperimentato in Tag? Anche. Analisi dolorosa del processo di abbandono del ventre materno e dell’essere rifiutati? Pure.
Ecco, Tokyo Vampire Hotel è un ritorno di tópoi cari a Sion Sono, già usati più volte e sempre riproposti in maniera differente, con aggiunte e variazioni. Per esempio, tutto il discorso sotterraneo sul crocifisso, oggetto tradizionalmente detestato dai vampiri e strumento di propagazione di una fede “ostile”, può essere esteso a gran parte della storia giapponese fino ad arrivare a quell’epoca magistralmente descritta da Martin Scorsese nel suo Silence. Il Cristianesimo in Giappone ha attecchito bene? Insomma. Un misto di repulsione e peso sulle spalle, come la croce gigantesca di Love Exposure.
Se Tokyo Vampire Hotel non è una sorpresa, resta comunque la conferma di uno dei massimi registi giapponesi viventi, forse l’unico in grado di rendere una pioggia di sangue un’esperienza catartica per i suoi personaggi e per il suo pubblico.
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