
Seeyousound 2018: Song of Granite, tra folklore irlandese e tradizione orale
January 28, 2018Quarta edizione del Seeyousound – International Music Film Festival apertasi gloriosamente con la proiezione di Song of Granite, candidato irlandese come Miglior Film Straniero agli Oscar senza però essere riuscito a entrare nella cinquina dei film che saranno in competizione per aggiudicarsi l’ambita statuetta: The Square, Corpo e Anima, Loveless, The Insult, Una donna fantastica.
Del cantante Joe Heaney vengono mostrati gli anni dell’adolescenza tra lezioni di religione, canti popolari, minatori, miti e leggende locali, maglioni sgualciti, povertà, pescatori notturni, pervinche e aragoste, balli, fonografi ed etnomusicologi, uova nei nidi, copie del Glasgow Herald. Un’Irlanda dall’ambientazione rurale, quasi alla John Ford di Un uomo tranquillo (1952), dove la vita è qualcosa di semplice, alternata dalla luce e dal buio, dai ritmi lavorativi, e dove l’attaccamento alla terra è ancora forte, quasi primigenio.
Nel corso di Song of Granite, dopo questo lungo incipit, il regista Pat Collins comincia a voler far perdere le tracce di quello che è sembrato fino a quel momento essere un biopic standard (il trittico della formazione, ascesa e caduta dell’artista tormentato) e inserisce nella sua narrazione filmati d’epoca con lo scopo di mostrare, quasi con un intento documentaristico, la realtà sociale dei lavoratori irlandesi. La questione però non si esaurisce qui perché ad essi vengono alternati episodi ricreati appositamente (il ritorno della narrazione biografica) con un Joe ormai adulto, girovago da un continente all’altro, intento a intrattenere un pubblico sempre nuovo con le sue canzoni anche nei più caotici ed infelici Stati Uniti.
Inquieto, distante e alla ricerca di se stesso, il protagonista di Song of Granite è lo specchio su cui si riflette la stessa natura del film: fuggire dall’idea di volerlo celebrare attraverso un biopic, mostrando la sua vera natura di quasi-documentario e rinunciando a mettere insieme un’opera omogenea dal punto di vista cinematografico. Tutto ciò non costituisce un difetto, anzi. L’approccio del regista sembra più quello di uno studioso del folklore che di un filmmaker in senso stretto. È un bene perché lo spettatore finisce con l’essere stimolato su più livelli e a riflettere sui modi di trasmissione della memoria che, fuori dalle accademie e dai luoghi di studio, è ciò in cui gli esseri umani sono costantemente immersi: la vita di tutti i giorni, le persone di cui ci si circonda, i riti, le formule lessicali ripetute.
Un film sulla musica intesa come linguaggio, strumento comunicativo, non una semplice forma di svago. L’attenzione dei realizzatori del film è però rivolta anche a tutto ciò che concerne l’aspetto visivo e non solo sonoro. Quella di Song of Granite è una fotografia in bianco e nero assolutamente da piangere diamanti, con un così magistrale uso delle lenti da ricordare le fotografie di Sebastião Salgado e certe pellicole del muto (nota a margine, la pre-apertura del Seeyousound ha visto una sonorizzazione dal vivo dell’Ingeborg Holm di Victor Sjöström).
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