
Il meraviglioso viaggio in Poesia senza Fine di Jodorowsky
March 27, 2018Inizia da lì, dove era finito La danza della realtà: Alejandrito, suo padre Jaime e la madre Sara, che guardano noi nel mare, noi che ci allontaniamo, noi che siamo Alejandrito, suo padre Jaime e la madre Sara, noi che ci dirigiamo verso Santiago del Chile.
Poesia senza fine quindi è fin da subito il “Volume 2” che fa da continuo alla pellicola precedente. Ma cos’è questa Poesia senza fine? Ha un inizio? E dove lo troviamo? La poesia e il tema dell’arte non erano presenti in modo preponderante come lo saranno nell’ultima pellicola di Jodorowsky, ma c’erano, erano presenti, si manifestavano nella visione di un bambino che sta muovendo ancora i primi passi verso la presa di coscienza. Alejandrito attraversava la sua infanzia ancora come un semplice osservatore, innocente e incapace di lasciare una sua traccia in un ambiente dove vige la figura patriarcale e violenta del padre, la paura degli zingari che portano la peste, la paura del diverso e della dittatura. Ma è anche in questo ambiente che Alejandrito, sotto la protezione della figura materna, incominciava a scoprire un mondo magico, straordinario nell’ordinario, danzante e armonioso nonostante la dura realtà dei fatti, quella imposta dal padre, quella atea, comunista, severa e dolorosa.
La Poesia è subito lo strumento con il quale il nostro Alejandrito (sempre interpretato da un cresciuto Jeremiah Herzovitz) scopre la sua vera natura, il suo destino e il mondo degli adulti, dell’arte, del dolore e delle responsabilità, il mondo che lo trasformerà in Alejandro (interpretato da Adan, nipote di Alejandro); la Poesia è il grande e desiderato grido di ribellione contro la famiglia, è quella che permetterà ad Alejandro non solo di osservare, ma di agire, trasformare e cambiare il mondo gridando “Sveglia! Sveglia!”. Così inizia l’avventura del protagonista alle prese con l’adolescenza, con la sempre più stressante esigenza del padre che lo vuole medico, e non poeta.
La Poesia senza fine inizia da un distacco, dal voler abbandonare i genitori per abbracciare una nuova famiglia, l’Arte, quel meraviglioso e magico mondo dove nulla è proibito, dove è “proibito proibire”, dove non sono più i personaggi esterni che entrano dentro la vita di Alejandro, ma è Alejandro che entra, cambia e stravolge le loro vite, le loro convinzioni e la loro percezione del mondo.
Il viaggio diventa così una surreale danza dove la fantasia del regista non si esaurisce mai, senza fine appunto, dove le continue trovate visive di Jodorowsky sono un infinito spettacolo per gli occhi, per l’anima e per l’umore, contraddistinte da quel suo particolare surrealismo tipico del regista che qui raggiunge vette liriche di rara bellezza. Ma Poesia senza fine è anche un film irresistibilmente divertente per tutta la sua lunga durata, quella che scandisce l’arco temporale di una realtà lontana e vicina allo stesso tempo, gremita continuamente di una coralità di strambi personaggi, apparentemente fuori dal mondo, fuori dal tempo o da qualsiasi altro immaginario visto fino ad ora al cinema, per poi condividere un’umanità tragica e universale in cui ogni spettatore può rispecchiarsi, senza mai essere stucchevole o scontato.
Alejandro Jodorowsky, ormai 90enne ma sempre “lucido” ed energico, non usa la sua storia solo per mettere in scena quell’eccentrico immaginario surrealista da lui maturato durante la sua lunga esistenza di scrittore, fumettista, saggista, drammaturgo, regista teatrale, cineasta, studioso dei tarocchi, compositore e poeta, ma fa qualcosa che va oltre, qualcosa che sembra essere un vero e proprio atto poetico e cinematografico di grande spessore. La porzione di mondo mostrataci nell’infanzia a Tacopilla fino all’età adulta di Santiago (per poi andare a Parigi) mette in moto una macchina-cinema per portare avanti un discorso esistenziale, famigliare e poetico: Alejandro, ormai ritrovatosi in un corpo sempre più vecchio, ha bisogno dei film, dei costumi, delle scenografie e delle musiche per rievocare il suo corpo (elemento ricorrente in un cinema profondamente mistico, ma sempre e concretamente fisico, materico e organico). Non solo per rievocarlo, ma anche per aprire un contatto con i propri corpi e fantasmi, quelli di un Alejandro ventenne e del padre, interpretati rispettivamente dal nipote e dal figlio reali, in modo di trascendere spazio, tempo e magia e risanare una rottura, un rimpianto e uno sbaglio fatto in gioventù che solo il cinema può permettere. Quel cinema terapeutico che ha sempre contraddistinto Jodorowsky, dove meraviglia e orrorifico convivono per risanare i mali del mondo, quelle anormalità che l’occhio non vorrebbe mai vedere.
E noi ringraziamo Jodorowsky per rimettersi in gioco nonostante la vecchiaia, per continuare questo meraviglioso viaggio nel suo passato, nella sua magia e nella sua autoreferenzialità con la stessa passione che possiamo ritrovare nelle storie di un Nonno che ha bisogno di raccontarti continuamente il suo passato, le sue avventure, magari a volte un po’ stancanti, ma sempre piene di vita e magia. Speriamo infine che questo lungo viaggio continui in un (possibile) terzo capitolo di una bellissima trilogia.
- Perché Salò di Pasolini è ancora un’esperienza destabilizzante - May 4, 2021
- America del silenzio e della distanza nel cinema di Kelly Reichardt - February 25, 2021
- C’era una volta… il Macbeth di Polanski - December 17, 2019