Una considerazione finale e completa su The Rain

Una considerazione finale e completa su The Rain

May 7, 2018 0 By Gabriele Barducci

the rain poster netflixCi eravamo lasciato con un’anteprima sommaria della nuova serie tv griffata Netflix Danimarca di sole tre puntate, queste Netflix ci ha fatto vedere in anteprima, quindi per evitare di ripeterci tediosamente, vi rimandiamo all’articolo di anteprima per continuare il nostro viaggio in questa desolata Danimarca post apocalisse. Nota a margine, ma essenziale per rendere più attivo il seguente testo: ci saranno spoiler, anche tanti, quindi se ancora non avete visto tutte e otto le puntate che compongono la prima stagione, girate al largo.

Simone e Rasmus, i due fratelli protagonisti, dopo più di cinque anni chiusi nel bunker dunque si aggregano al nuovo gruppo di sopravvissuti con la semplicista missione di: sopravvivere. Banale, ma comunque riesce a restituire una cornice da fine del mondo abbastanza adeguata per il tono del racconto. Come abbiamo già sottolineato, la serie è affetta da una grave forma di ingenuità che, anticipiamo subito, colpisce ogni settore e ogni puntata di questa prima stagione, rendendo l’opinione finale sicuramente non così entusiasmante, un risultato che la serie cerca ampiamente di evitare, ma ci finisce sempre dentro con tutte le scarpe.
Complice di questo, non è tanto un cast che non brilla particolarmente, cercando caratteristi particolari a cui affidare personaggi stravaganti e poco interessanti, ma il problema è da ricercarsi proprio nel modo in cui alcuni avvenimenti vengono impressi prima su carta e poi resi in audiovisivo: bella l’idea di inserire una comunità religiosa di cannibali con sacrificio mensile di essere umano consenziente pur di tenere alta la riserva di carne, ma è qualcosa di già visto e non proprio funzionale – capiamo già dal primo minuto che qualcosa non quadra, ma nessuno si fa nessun dubbio di sorta, mangiando a profusione e accettando tutto ciò che gli viene dato. Il personaggio di Martin desiste fino alla fine, lo specchio per lo spettatore con cui percepire qualche stranezza, ma è poi lo stesso Martin, che si lascia fregare proprio nell’ultima puntata, bevendo e ingoiando ipotetiche pillole di vitamine che poi si dimostreranno essere altro.
C’è chi prima della pioggia, sotto effetto dell’alcol, ha scopato un gruppo di ragazzi facendosi filmare e invocando la furia divina su di loro: Tac, pioggia.
C’è chi prima e dopo la pioggia ha ucciso per sbaglio e cerca un modo per redimersi di queste azioni: Tac, pioggia.
C’è chi ha fatto un errore e fatto uccidere tutto il suo plotone: Tac, pioggia.
Insomma, c’è un momento in particolare per cui, nonostante siamo coscenti che la pioggia sia un’esperiemento scientifico adottato dal padre di Rasmus e Simone, per scopi non abbastanza chiari, questa invece debba per forza essere intesa o idealizzata come qualcosa di divino o superiore, ma fino a quel momento, la storia non lascia intendere questa deriva.

L’isola di Lost ha la funzione di tappabuchi per evitare che il Male (il Fumo Nero) possa fuggire e quindi distruggere il mondo. Lo scontro tra i due fratelli, Jacob e il Fumo Nero, ha una doppia funzione e lettura, da semplice sfida d’azione a sfida intellettuale, intesa come la fede e la tecnologia, la fiducia nell’uomo e la relativa sfiducia. Nessuno ha mai interpretato una pioggia mortale come un segno divino, anche perché ci viene spiegato immediatamente nella primissima puntata dal padre dei due ragazzi: “sono stato io, non posso dirvi nulla, te Simone, proteggi tuo fratello Rasmus, lui è la chiave di tutto”. Evviva l’originalità.

Poteva e doveva essere di più questo The Rain. Resta comunque viva un’ottima atmosfera, come già accennato, che privileggia scampagnate nei boschi, posti umidi, tetri e misteriosi, ma a differenza di Dark, la serie non sfrutta mai il terzo protagonista, l’ambiente, a suo favore. Forse per motivi di budget si è evitato anche di addentrarsi in contesti urbani, tranne per la terza puntata, ma davvero troppo poco per rendere credibile l’atmosfera da post apocalittico che si dovrebbe mediamente respirare in ogni angolo.

The Rain dunque si ferma lì, ad un passo da avere un’identità abbastanza concreta, quel pizzico necessario per farsi ricordare alla fine dell’ultima puntata, lasciando le solite questioni aperte come da prassi che sembrano più un racconto e una strada già battuta per assicurarsi l’attenzione maggiore del pubblico pur dicendo pochissimo nelle sue finalità.

Gabriele Barducci