
Chi è John Wick? In attesa del terzo capitolo
May 11, 2018Nel 2014 (in Italia, l’anno dopo) usciva un film diretto da due stuntman “esordienti” poco conosciuti. Il poster mostrava un Keanu Reeves in completo elegante capelli tirati dietro le orecchie, barba leggermente incolta e una semiautomatica rivolta al pubblico, con la bocca della canna messa a fuoco che andava a formare la lettera O del titolo, la O di John Wick. Ma chi è John Wick? O meglio, chi era?
John Wick è già una leggenda, un demone, baba jaga o più precisamente l’uomo che veniva incaricato di uccidere Baba Jaga. John Wick è prima di tutto Keanu Reeves. E quindi, chi è Keanu Reeves? Cosa ne rimase di Keanu Reeves dopo la trilogia di Matrix che sembrò consacrarlo tra gli attori del cinema d’azione del nuovo secolo? Cosa ne rimase di quella classe 1960?
Qualcuno rimase imprigionato nelle maschere di Jack Sparrow e Tim Burton (Johnny Depp); qualcun altro dopo un breve periodo di gloria nella commedia americana dimostrò di avere grande talento come attore drammatico in The Truman Show e Se mi lasci ti cancello, ma poi più niente, tutti se lo dimenticarono (Jim Carrey); qualcun altro decise di dedicarsi altrove e trovare una possibile via secondaria nella regia (Sean Penn e George Clooney); qualcun altro vide la propria carriera precipitare nel patibolo dei film di serie B, se non Z, nonostante un Oscar (Nicolas Cage); qualcuno dopo una carriera promettente rimase bloccato nel ruolo del supereroe della macchina Marvel, rimanendo tutt’oggi il volto di Iron Man e nient’altro (Robert Downey Jr.); qualcun altro ha usato questo paradigma per venire riesumato da Iñárritu e farsi ricordare al mondo con una (mancata) statuetta agli Oscar (Michael Keaton).
Mentre dall’altra parte quei colossi di un certo cinema d’intrattenimento continuano a fare quello che facevano 30 anni fa con spensieratezza, tanto lo sanno che i tempi son passati e ormai sono icone talmente vivide nella memoria collettiva che possono benissimo prendersi il lusso di rifare una reunion come I Mercenari, come i vecchi amici del liceo che lasciano il posto alle nuove generazioni, divertendosi a giocare a carte mentre i ragazzi stanno ai videogiochi, Keanu Reeves ha avuto la “sfortuna” di esplodere con Matrix senza colpire nessuno, perché quella rivoluzione del digitale che aprì le porte alle frontiere dei nuovi effetti speciali finì per uniformarsi in una categoria, non la sola ovviamente, ovvero quella dei Cinecomics.
Un‘idea di cinema che ha visto affermarsi un nuovo supereroe, quello delle pagine a fumetti che grazie ai nuovi effetti speciali può ora prendere vita e farsi paladino dell’umanità contro minacce aliene, terroristiche e catastrofi naturali. L’eroe duro a morire della celluloide invece è stato spazzato via. Pochi di quegli eroi hanno saputo continuare a vivere nella nuova era, con risultati spesso discutibili: ci hanno provato con Bruce Willis, ma il suo poliziotto McClane ormai è fuori tempo massimo davanti alle nuove saghe degli ultimi 10 anni; ci ha provato un’ultima volta “Sly” Stallone con John Rambo, ma la macchina da guerra degli 80’s ormai ha fatto il suo tempo e ci si è dovuti mettere una pietra sopra tutti insieme con i già menzionati e mitici Mercenari.
In questi ultimi 10 anni Reeves è diventato uno spettro, complice una serie di sfortune familiari che di certo non l’hanno aiutato, diventando di conseguenza il volto secondario di film di scarso successo, seppur di certa rilevanza accanto ad autori quali Refn (The Neon Demon), Eli Roth (Knock Knock) o nell’ultimo film della giovane Ana Lily Amirpour (The Bad Batch). Gli ultimi film da protagonista di certo non facevano sperare bene, da 47 Ronin e Man of Tai Chi, e se vogliamo scavare più indietro c’è anche il dimenticabile remake di Ultimatum alla terra.
John Wick è un film che ci riporta un Keanu Reeves in gran forma, che sorpassati i 50 anni ha voglia di rimettersi in gioco. Sebbene in Italia sia passato in sordina, complice il fatto che qualche mese dopo tutti avrebbero perso la testa per il ritorno di George Miller con Mad Max Fury Road, quello che la penna di Kolstad (suo il clamoroso Atomica Bionda), le coreografie di Stahelski e Leitch, e la presenza scenica di Reeves, portano alla luce è un film d’azione old school, puro, duro e fisico come se ne vedono sempre meno e che trova la sua anima nel suo interprete, tanto che ormai John Wick è già diventato un’icona tra i cultori del cinema action.
John Wick è un personaggio già nato, già morto, già leggenda e quindi non abbiamo bisogno di una spiegazione sulle sue origini (perché di origini ne abbiamo avute già abbastanza negli ultimi anni). Di John Wick ne veniamo a conoscenza attraverso le voci dei personaggi secondari, attraverso la superstizione della mafia russa che lo identifica nella figura demoniaca di baba jaga, e attraverso il codice d’onore dei killer di vecchia data che John Wick incontra e uccide durante il suo tragitto, nonostante il rispetto che li lega.
Ma quello che colpisce di questo film, che prima di tutto è un fumettone (e non un cinefumetto), è la naturalezza con cui ci vengono presentati vari personaggi e di come questi girino tutti attorno ad un unico punto di riferimento: l’Hotel Continental. E’ qui che il film acquista fascino e originalità, è qui che tutti i sicari devono sospendere i loro contratti e prendere un attimo di tregua; qui veniamo a conoscenza di una valuta alternativa che vale solo per il mondo criminale; qui conosciamo il simpatico e impassibile manager della reception interpretato da Lance Reddick (truce sbirro nella serie televisiva Bosch); ma è anche qui che entra in scena il grande Ian McShane/Winston, direttore del Continental e figura centrale nell’amministrazione di questo strambo mondo in cui vivono regole rigide da rispettare. Sostanzialmente: Kolstad e Stahelski creano un immaginario dal gusto tolkeniano di grande fascino che qui viene solo impostato, ma che tornerà in modo preponderante nel secondo capitolo.
Ma torniamo all’azione. Raccontare la trama del film è inutile perché John Wick è un classico e lineare vengeance movie a cui siamo abituati ormai da tempo, soprattutto da buona parte del cinema coreano odierno. Tutto parte quando Igor (aka Theon Greyjoy), figlio del boss della malavita russa Viggo Tarasov (Michael Nyqvist), fa la bravata di irrompere in casa di Keanu Reeves, pestarlo a sangue, rubargli la Mustang del ‘69 che aveva adocchiato ad un distributore, e uccidergli il cucciolo di cane.
Quel che non sapeva Igor, e ciò manderà su tutte le furie il padre, è che la macchina che hanno rubato appartiene a John Wick, e di questi lui ne ha bisogno per sfogarsi in evoluzioni spericolate in posti abbandonati; ma cosa ancora peggiore hanno ucciso l’unica cosa che dava speranza a John, il cagnolino lasciatogli dalla moglie. Ma cosa succede quando decidi di uccidere il fido amico di John Wick? Semplice, John Wick viene a uccidere te.
Sembra una barzelletta, anzi, lo è, ed è quello che ormai viene fatto notare in tutte le recensioni sul film e in effetti il primo capitolo di John Wick si potrebbe riassumere in: “non svegliar can che dorme”. Da questa semplice premessa partono inseguimenti al cardiopalma, scazzottate e sparatorie tra luci al neon in discoteca, e infine un inseguimento con autoscontro finale che sembra rievocare quel cinema di John Woo, non solo nell’atmosfera e nella scenografia ma anche nello spirito, in quel legame in cui l’eroe o il criminale attraverso le loro azioni mettono in discussioni una catena di valori, dall’amicizia virile, all’onore e la leggenda.
Cosa aspettarsi dunque da un secondo capitolo che non scadesse nella semplice ripetizione? Innanzitutto il poster. Se prima era John Wick che puntava a noi la pistola per farsi strada e compiere la sua vendetta, nella locandina del secondo film vediamo un certo numero di sicari, si presuppone, circondare, braccare e puntare l’arma contro il nostro antieroe. Già qui il poster racchiude lo spirito di questo secondo capitolo, che dai primi minuti vede John Wick chiudere gli ultimi conti con i russi prima di poter riporre le armi un’ultima volta. Ma ormai John Wick è tornato dall’oblio e la sua vendetta contro i russi ha fatto parlare di sé, attirando l’attenzione del camorrista Santino D’Antonio (Riccardo Scamarcio), con il quale John ha stretto un patto di sangue tempo prima: in cambio di una vita tranquilla in una casa di lusso con la donna amata John si sarebbe preso l’impegno di aiutare un’ultima volta Santino quando questi glielo avrebbe chiesto. Santino vuole usurpare il trono della camorra a sua sorella (Claudia Gerini) e per fare questo ha bisogno di John Wick per ucciderla, quest’ultimo dopo un primo rifiuto è costretto ad accettare.
Quindi, la simpatica premessa del primo capitolo è già un lontano ricordo, ora John Wick è costretto a rimettersi al lavoro, portare a termine un contratto difficile perché lui è l’uomo adatto per farlo, diventando però lui stesso il bersaglio di killer provenienti da tutto il mondo. John Wick: Chapter Two diventa così una fuga contro il tempo, contro la morte, e verso la salvezza da un mondo che gli punta il grilletto contro senza scrupoli.
Kosaldt e Stahelski (questa volta unico regista) mettono in scena un capitolo ancora più riuscito del primo perché indubbiamente più ironico e divertente. Il mondo parallello dei sicari, che avevamo conosciuto nel primo film solo attraverso la loro valuta e lo spazio neutro dell’Hotel Continental, fa da vero e proprio sfondo al film; Roma diventa una città di pregiate e eleganti boutique all’italiana in cui John Wick compra abiti, gadget e armi; il nostrano Hotel Continental è gestito immancabilmente da un grandissimo Franco Nero; l’amministrazione dei contratti viene gestita in un ufficio tutto al femminile, caotico e burocratico che pare venire direttamente da un film di Terry Gilliam; i barboni delle metropolitane newyorkesi non sono altro che ex-sicari comandati da un Laurence Fishburne che, in un sottile trovata metacinematografica, si ritrova “dopo tanto tempo” con Keanu Reeves; le regole dello spazio neutrale nel Continental non potranno neanche fermare la furia di John Wick verso l’insopportabile Santino.
Tra Roma e New York il film diventa un tour de force dal ritmo indiavolato che regala continue sequenze d’antologia, da tutta la prima parte in Italia (forse un po’ lunga) con almeno tre scene d’azione di grande impatto, fino alla fuga metropolitana di New York in cui John si trova a dover fronteggiare continuamente nemici camuffati in mezzo alla folla. Stahelski dimostra di saper girare e alza l’asticella delle scene d’azione calandole in contesti e scenari di grande impatto, una su tutte la sequenza in metropolitana a colpi di pistola silenziata, ma anche l’ultima, grande e lisergica scazzottata durante un continuo moltiplicarsi di specchi, riflessi e corpi senza dover ricorrere a effetti speciali.
Questi primi due capitoli di John Wick segnano il ritorno di Keanu Reeves, ma anche di un certo cinema muscolare e intelligente, come nel caso di Brawl in Cell Block 99 con Vince Vaughn. Sono due film che riportano una piacevole ventata d’aria fresca, e non perché reinventano chissà quale genere, ma perché tornano indietro e dimostrano che una certa cinematografia “da menare” può ancora benissimo funzionare per il grande pubblico, in un’era in cui si vuole esagerare e porre i grandi supereroi davanti a catastrofi digitalizzate.
Insomma, mentre si continua ad attendere il terzo capitolo indonesiano delle peripezie di Iko Uwais in The Raid (non a caso l’attore ha collaborato con Reeves in Man of Tai Chi, ma è anche comparso nel sottovalutato Headshot), i fan aspettando con trepidazione il terzo capitolo di John Wick sperando che sia “duro da morire”.
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