
Maria di Scozia è il film di John Ford che non ti aspetti
June 21, 2018Il cinefilo integerrimo (e un poco integralista) ama nutrirsi di politique des auteurs e tranci di pizza mentre è in coda ai festival. Ed è giusto, sacrosanto. Un vero autore lo si segue, ne si osserva la parabola, i film vanno sezionati e le componenti che affiorano devono essere prese, analizzate, studiate, osservate minuziosamente. Compiere acrobazie nel tendere quanti più fils rouges, tirati fino all’esatto punto prima della rottura, fa parte del mestiere di chi la critica la fa assumendosi i rischi di venire smentito da chi il film l’ha scritto e girato. Da quando la “politica degli autori” ha fatto la sua prima comparsa, i nomi portati avanti da subito sono stati, per esempio, quelli di Orson Welles e Alfred Hitchcock, ma anche di John Ford.
Il “padrino” del genere western è per l’appunto conosciuto per i vari Ombre rosse, Il massacro di Fort Apache, L’uomo che uccise Liberty Valance, La carovana dei mormoni, la lista è lunghissima, ma nella sua carriera Ford ha anche diretto noir, commedie, war movies, storie d’aviazione o, come nel caso di Maria di Scozia, film storici.
La trama, brevemente. Maria Stuarda (interpretata da Katharine Hepburn) torna in Scozia per salire sul trono, ma non viene giudicata all’altezza da una corte di cospiratori che le danno filo da torcere. Il maggior problema, tuttavia, è costituito da sua cugina: la regina Elisabetta I d’Inghilterra, che vuole eliminarla e alla fine ci riesce. Un film costoso, dove tutto è realizzato in grande stile e senza badare a spese, il Maria di Scozia diretto palesemente con grande fiacchezza e svogliatezza da John Ford. Se di questo titolo non si parla ormai più ci sarà un motivo, no? Oh, allora è più giusto concentrarsi sui retroscena, ben più appassionanti.
Aggiornando il coefficiente d’inflazione, oggi il film sarebbe costato attorno ai 17 milioni di dollari. Pubblicità esclusa. Non è tanto per gli standard attuali dal momento che per i cinecomics e gli Star Wars ne vengono spesi 200 o più (gran parte dei quali finiscono nella fase di post-produzione: effetti speciali, CGI, et cetera), ma un milione di dollari nella prima metà del secolo scorso è una cifra tondissima. Maria di Scozia, fatta eccezione per le due star di punta, non vanta né cast con un cachet da capogiro né un numero tale di comparse -nonostante siano molte!- da far aumentare il budget nel momento stesso in cui vengono assunte. E pure John Ford, fresco fresco di Oscar alla regia per Il traditore, non è (e non sarebbe mai stato) un Lubitsch il cui salario è il più alto ad Hollywood in quel periodo. No, il film costa tanto per tutto il resto: scenografie, costumi, oggetti di scena.
In ordine: 2 chilometri di stoffe di velluto, broccati, merletti, ricami; 50 chili di gioielli indossati dai protagonisti; una tonnellata di elmi, corazze, guanti in cotta di maglia e protezioni per le gambe creati appositamente per i soldati. Mentre questo articolo viene scritto (è il giugno del 2018), su eBay si può osservare in vendita un autentico farsetto di raso blu utilizzato dall’attore londinese Wyndham Standing in Maria di Scozia. Perde un po’ i pezzi, ma è ancora molto bello. Costo: 330 dollari. Spedizione esclusa.
Non finisce qui. All’epoca, il set è uno dei più grandi che siano stati costruiti e occupa lo studio più grande di cui la RKO dispone: è lungo 80 metri, largo 38, il solo cortile del castello è grande 3000mq completamenti ricoperti da vere lastre di pietra per un peso complessivo di circa 300 tonnellate. Il conto per le spese sale così tanto che la casa di produzione fa cancellare e riscrivere una scena di massa che da sola sarebbe costata centomila dollari (un decimo del budget complessivo).
Se si stesse parlando di Via col vento o Il mago di Oz, queste cifre farebbero sorridere e non stupirebbero, il problema è che Maria di Scozia è costato molto e non è passato alla Storia. Non solo oggi il film è dimenticato da quasi tutti, ma anche alla sua uscita nelle sale non fu giudicato particolarmente interessante dal grande pubblico (leggasi: scarsi risultati al botteghino).
Il motivo principale è la piattezza della narrazione che a tratti è quasi soporifera. Ancora, se si trattasse di una pellicola europea non stupirebbe, ma per essere made in USA stranisce eccome. Sull’apparato tecnico e realizzativo nulla si può dire perché si tratta di un film grandioso (leggasi: una grossa produzione, che non sempre è sinonimo di alta qualità “artistica”), ma la sensazione è che la RKO abbia voluto strafare senza curarsi di avere tra le mani una sceneggiatura forte.
Sullo script non particolarmente memorabile è lo stesso Ford a esprimere perplessità durante le riprese. Col suo fare sornione, all’inizio delle riprese lo definisce “una storia di gangster come tante altre” arrivando persino a paragonare lo scontro tra Maria Stuarda ed Elisabetta I d’Inghilterra “un po’ come quello tra due gang di Chicago che si scannano per il mercato nero della birra”. E dire che ufficialmente il Proibizionismo finisce una manciata d’anni prima, nel 1933, e che a Hollywood l’alcol e la droga magicamente non sono mancati mai da quando quel regime entra in vigore a quando viene nuovamente normalizzato il consumo di sostanze psicoattive.
A metà lavorazione però l’umore di Ford cambia e della mediocrità narrativa di Maria di Scozia il regista finisce ben presto col non poterne più e addirittura lascia il set per qualche giorno (una costante nella sua carriera) totalmente annoiato da quel che sta girando. La leggenda vuole che sia proprio lui ad affidare la regia di un paio di semplici e verbose scene niente meno che alla protagonista, una Katharine Hepburn totalmente a digiuno di esperienze dietro la macchina da presa (non diresse mai nulla nella sua vita, né prima né dopo questa esperienza). Scene che vengono girate agilmente dagli operatori limitando il ruolo dell’improvvisata cineasta nel consigliare a Fredric March come recitare quelle battute, poca roba. Per tutte le altre di cui Ford è assente auto-giustificato, viene chiamato il mestierante Leslie Goodwins che nella Storia non ci entra neanche per sbaglio nonostante realizzi un centinaio abbondante di film nell’arco di solo quarant’anni.
Insomma, per uno come John Ford che definisce il suo lavoro come “una maniera come un’altra per guadagnarsi da vivere” e la cui etica è riassumibile con dedizione massima al proprio mestiere, fa sorridere che con così tanta facilità se ne vada via dal set per i più svariati motivi e che i produttori siano costretti a chiamare spesso qualcuno a ultimare quel che è stato cominciato. È uno dei grandi paradossi del regista che fuoriesce nelle interviste: l’alternare presunzione e arroganza a umiltà e svalutazione del proprio operato.
Rimanendo nel reame realizzativo di Maria di Scozia, la leggenda si spinge più in là del mero e discutibile professionismo. Ford se ne va via anche perché, pare, sia innamorato della Hepburn e non sappia come fronteggiare questi sentimenti (lui è sposato e crede fermamente nel vincolo religioso del matrimonio). A complicare la faccenda, anche l’attrice, si dice, prova molto per lui. Com’è o come non è, i due non iniziano una relazione e le loro vite procedono con grande successo. Maria di Scozia è l’unico film che girano insieme anche se il regista prova a farla entrare nel cast di alcuni suoi lavori successivi, tra cui l’ultimo (Missione in Manciuria, sottovalutato e bisognoso di essere riscoperto), lei rifiuta sempre, ma l’affetto non viene meno. Nel 1973, quando Ford è sul letto di morte, la Hepburn va a trovarlo, rievocano assieme i ricordi di quel film, lui dice di amarla e lei gli risponde che è un sentimento reciproco (esiste una registrazione audio fatta dal nipote di Ford a testimoniare tutto ciò).

John Ford e Katharine Hepburn durante le riprese di “Maria di Scozia”.
Tornando al film in oggetto, si può immaginare quindi cosa sia successo, ovvero le dinamiche che hanno portato il cineasta a prendere le distanze dal set, dal film. Da Katharine, soprattutto. Non è tutto qui. In un’intervista del 1965 per la tv francese, Ford sciorina alcuni dei suoi film preferiti tra quelli che ha diretto, tra questi: Lungo viaggio di ritorno, Il sole splende alto e soprattutto Alba di gloria. Li definisce “piccoli film che hanno incassato molto poco”, ma li preferisce a titoli più famosi e che ancora oggi vengono considerati capolavori assoluti, come Sentieri selvaggi di cui lui dice “è solo un western come un altro”. In un’altra intervista, questa volta per la BBC nel 1968, dice di non amare particolarmente il genere che gli ha portato più fama per via delle vicende ripetitive che possono essere raccontate, ma di essersi sempre divertito a girarle perché gli permettono di allontanarsi da Hollywood con tutta la troupe e di vivere per qualche settimana all’aria aperta, dormendo sotto il cielo stellato, lontani dal caos di Los Angeles.
La fuga è una costante nella carriera di John Ford, soprattutto dalle logiche degli studios cui decide di uniformarsi quel tanto da poter avere assicurato un lavoro e riuscendo quasi sempre a non venire schiacciato da quei meccanismi. Anche il suo terzultimo film, I tre della croce del Sud, lo sceglie perché rappresenta una buona scusa per andarsene alle Hawaii, dove la storia si svolge, così da potersi godere una vacanza in compagnia del suo amico John Wayne.
Alla luce di queste considerazioni, il preferire piccole produzioni e le riprese in esterna, tutto ciò come può collimare in un film come Maria di Scozia che manca di queste due caratteristiche fondamentali aggravate per di più dai sentimenti contrastanti provati per la Hepburn? La sopportazione diventa impossibile e a fatica Ford porta a termine (parzialmente) il suo lavoro.
Maria di Scozia rimane comunque una pellicola non priva di un certo fascino e dove è comunque possibile rintracciare elementi che ritornano costantemente nel cinema di Ford. Sono notevoli i giochi di ombre che ingigantiscono le figure dei protagonisti fino a far sembrare quei corpi come schiacciati sotto il peso delle cospirazioni e in generale è interessante tutto il discorso sul ripetuto inginocchiarsi di fronte al potere. Lo stesso arrivo della nave su cui viaggia Maria Stuarda, un vascello che emerge da una fitta nebbia spettrale, sembra fuoriuscire da un film di F. W. Murnau (dell’influenza del regista tedesco su Ford non si è ancora studiato abbastanza). Infine, come non notare la componente claustrofobica costituita dal castello dentro cui si svolge quasi tutta la vicenda, alla stregua dei molti luoghi chiusi cari al regista: dalla diligenza di Ombre rosse all’avamposto di evangelizzazione in Missione in Manciuria passando per il forte militare de I cavalieri del Nord Ovest.
Per concludere e per gradire, una nota “nostrana”. Maria di Scozia viene presentato in concorso alla 4a edizione della Mostra del Cinema di Venezia nel 1936. Premi portati a casa: zero. Giusto una medaglia di segnalazione speciale assieme a molti altri film internazionali. Una magra consolazione.

Una foto di scena / Copertina di una rivista di Praga
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