Un affare di famiglia di Kore’eda: genitorialità e nodi irrisolti

Un affare di famiglia di Kore’eda: genitorialità e nodi irrisolti

September 19, 2018 0 By Simone Tarditi

Il tema di genitori che non condividono lo stesso codice genetico dei figli che allevano, ma con i quali hanno un rapporto talmente forte da superare il legame di sangue è uno dei più ricorrenti nel cinema di Hirokazu Kore’eda. Il regista giapponese sa che sono l’attenzione data dai grandi ai più piccoli e il tempo trascorso assieme in attività ricreative ad avvicinare emotivamente e spiritualmente individui di genere ed età diverse. Un genitore è qualcuno a cui ci si può sempre affidare e a cui ci si può rivolgere per questioni di vario tipo. In generale, non fa strano pensare che le persone che guidano altri essere umani in un percorso destinato alla scoperta di se stessi vengano quindi definite figure “paterne” o “materne”. Perciò, i cromosomi contano fino a un certo punto: si prendano a esempio Ritratto di famiglia con tempesta oppure Father and Son, storie di padri e madri impelagati in situazioni burocratiche e dilemmi morali riguardanti dei bambini che hanno solamente bisogno di essere apprezzati e amati.

Un affare di famiglia prosegue pertanto un discorso non solo ininterrotto nella filmografia di Kore’eda, ma anche di cui è impossibile cercarne l’origine. C’è sempre stato un interesse in tal senso fin dalle pellicole dirette tra la metà dei ’90 e i primi anni 2000 che, a rivederle oggi, sembrano così lontane da quelli dell’ultimi quindicennio, ma la svolta verso una maggiore autorialità, intesa come processo per raggiungere uno stile personalissimo, avviene nel 2004 con Nessuno lo sa. Questo film costituisce un punto di riferimento di lì in avanti perché è qui che per la prima volta Kore’eda affronta una questione famigliare: una madre, di professione escort, abbandona i propri figli e lascia che sia il più grande (un dodicenne) a occuparsi di loro, limitandosi ogni tanto a spedire qualche soldo e parola di conforto per poi sparire definitivamente.

Nessuno lo sa crea un ponte perfetto con Un affare di famiglia, che narra invece di un nucleo di persone unite dalla sventura e dai soldi (la traduzione italiana del titolo funziona perfettamente, una volta tanto), dedite a furti e occultamenti di cadavere, ma con un senso di solidarietà che travalica il non condividere lo stesso corredo genetico. Ci si vuole bene, ma è il denaro a fare da collante tra senso di responsabilità e obblighi.

Kore’eda, con una delicatezza che non può lasciare indifferenti, descrive un Giappone dove la realtà è tutto tranne che idilliaca. Se l’argomento “famiglia” è ampiamente trattato dal regista e discusso dai critici cinematografici, rimane sempre presente sullo sfondo quello legato alla prostituzione, ormai diventato un’altra costante impossibile da non notare seppure sia sempre lasciata in secondo piano: dal rapporto di un uomo comune con una bambola gonfiabile in Air Doll alle cabine per i peep-show in Un affare di famiglia, ma anche il già citato mestiere della madre in Nessuno lo sa, le case per appuntamenti dai cui muri origlia il protagonista di Ritratto di famiglia con tempesta. Non si tratta quasi mai di un sesso felice, appagante per entrambi i soggetti coinvolti. Non c’è l’idea di un’esperienza condivisa in una comunione di sensazioni.

Da un lato il sesso e dall’altro il frutto che ne può derivare: la procreazione. Da un lato il piacere, dall’altro i doveri che ne derivano: prendersi cura dei propri figli. Non sono quindi due elementi così opposti, ma possono essere disgiunti. E allora poi non importa tanto chi si prende cura di chi purché si finisca con lo stare bene o, almeno, meglio.

Un affare di famiglia Koreeda

Simone Tarditi