
Baby, provarci e fallire miseramente
December 6, 2018Complice una forte aspettativa su questo nuovo prodotto originale di Netflix Italia, Baby si è lasciato trascinare da una campagna marketing stuzzicante e non banale, giocare con lo stesso spettatore mostrando lentamente le Lolita di questa serie tv. Con grande rammarico però il resoconto finale è dei più deludenti di questo 2018.
Di base c’è il fatto di cronaca di non appena un paio di anni fa. Roma. Quartiere Parioli, quello dei più ricchi e viziati. Viene scoperto un giro di baby prostituzione che arriverà anche a toccherà nomi importanti della politica (in particolare il marito di una nota politica). I nomi sono grossi, la realtà viene piano piano decostruita restituendo nomi e volti a clienti e papponi. Addirittura una delle madri di queste ragazze è la stessa che andava in cerca di clienti a cui poi donare la figlia. Insomma, anche superficialmente, il fatto di cronaca era ricco, macabro. Con la giusta acutezza di un occhio critico e una penna consapevole, la possibilità di un drama interessante, profondo, atto a studiare le radici di un quartiere tanto bello quanto sporco, era altamente prevedibile. Proprio per questo motivo c’era grande attenzione dietro Baby.
Se dovessimo muovere una grande lode che si contrappone a un’altrettanta grande critica, è proprio quella di averci provato e di aver creato un prodotto ingiustificatamente mediocre, sia per gli standard televisivi a cui siamo abituati, sia in una cornice di critica quotidiana per quella che viene decantata come una situazione qualitativamente scarsa per la serialità italiana.
Discorso complesso che non trova e non troverà mai abbastanza tesi a supporto e una di queste la rappresenta proprio Baby: non si tratta della necessità di mostrare eccessiva volgarità (niente nudi, tutto molto soft porn), ma di non aver minimamente tenuto conto della base di partenza (il fatto di cronaca) e aver costruito uno show su classici stereotipi già visti, quali il ragazzo gay figlio del preside, la ragazza sbandata con un grande dolore, l’altra ragazza che si concede perché digerisce male la separazione dei genitori, il ragazzo fuori luogo (di Roma Sud) che si trova improvvisamente in un contesto sfarzoso (Roma Nord). In più di un’occasione il paragone con un’altra – brutta – serie tv Netflix è d’obbligo, quale Elite, ma escludendo qualsivoglia paragone o critica, ripescando proprio quel già citato soft porn, la vera domanda è: perché creare un prodotto così standard e mediocre? Perché sbagliare il casting? (Paolo Calabresi come villain-pappone è uno dei miscasting più brutti degli ultimi tempi)
Baby aveva davvero tutte le carte in regola – idealizzandola partendo dal fatto di cronaca – per raccontare con il giusto pugno nello stomaco una storia vera che all’interno potesse contenere un microcosmo di contraddizione, il classico marcio che si nasconde nel quartiere più ricco, bello e rinomato di Roma. Un facile esempio avviene con prodotti Netflix quali Sulla mia Pelle, dove la sostanza si presenta nella medesima forma e forse, affrontata nel miglior modo possibile: attenersi al motivo per cui l’evento di cronaca si è contraddistinto tra tanti altri fatti quotidiani. Ridurre il fenomeno delle baby squillo ad un semplice “sono una ragazza con problemi, nessuno mi capisce, sono confusa, faccio questo e quello” è stata la peggior scelta narrativa di sempre. A questo si aggiunge quindi la totale consapevolezza di questo giovanissimo gruppo di autori, GRAMS, ai quali c’è da bacchettare la scarsa voglia di osare qualcosa di più che non sia stato riproporre il solito racconto adolescenziale facile da vendere nella forma seriale, ma totalmente svogliato nella sua interezza.
Peccato, peccato e ancora peccato. Sono prodotti del genere che alimentano discussioni sul coraggio e la qualità delle produzioni italiane. Netflix ci regala anche la possibilità di realizzarle, ma alla fine, siamo noi stessi che ci roviniamo.
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