A Serious Man: Che brav’uomo che sei, Larry Gopnik

A Serious Man: Che brav’uomo che sei, Larry Gopnik

January 4, 2019 0 By Francesca Sordini

Larry Gopnik è un brav’uomo. Manda ai figli alla scuola ebraica, si aspetta che il suo più piccolo riceva il bar mitzvah a breve, ha la buona abitudine di fare periodicamente check-up completi, e non compie atti moralmente riprovevoli. Cerca anzi di rimanere il più possibile sulla retta via, ben disegnata da leggi fisiche rassicuranti e cristalline. D’improvviso, a Larry sembra arrivare una disgrazia dopo l’altra: la moglie gli chiede il divorzio – e non un divorzio qualunque, da brava ebrea osservante vuole un ghet, ovverosia un divorzio rituale per risposarsi secondo tutti i crismi. La sua riconferma come professore di fisica sembra non essere più tanto sicura. Uno studente coreano cerca di corromperlo per farsi cambiare il voto d’esame. La vicina di casa lo turba prendendo il sole in giardino completamente nuda. In tutto questo, la moglie gli svuota il conto in banca.

La serie di sfortunati eventi – tanto per citare un’opera lontanissima intrisa dello stesso humour senza redenzione – spinge Larry a consultare tre rabbini. Uno, giovane, gli consiglia affettuosamente di considerare le cose da un diverso punto di vista. Il secondo gli racconta la storia surreale di un dentista ebreo che trova incisa nei denti di un paziente non ebreo la frase in ebraico “Aiutami, salvami”. Il terzo non lo riceve, perché troppo anziano per occuparsi di faccende pastorali. A Serious Man termina dunque con un gigantesco punto di domanda, dato che i dubbi di Larry non vengono affatto fugati (e neanche quelli dello spettatore).

La chiave di volta per la comprensione del film forse la danno i distributori israeliani della pellicola, che hanno scelto di titolare il film Un brav’uomo. Il che significa che Larry, malgrado i tormentosi dubbi su eventuali colpe ancestrali, non ha commesso nessun peccato che possa avergli attirato l’ira funesta di HaShem (uno dei nomi di Dio, dato che nell’ebraismo non si può pronunciare il nome di Dio).

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Di chi è la colpa? I tre rabbini non fanno altro che aumentare la frustrazione di Larry. Il secondo rabbino se ne esce con una storiella nonsense, ma che, proprio perché nonsense, è perfettamente adeguata come spiegazione: la volontà divina è imperscrutabile a noi che siamo limitati, e questo è un dato di fatto. Va semplicemente accettato tutto come viene – come la citazione di Rumi a inizio film – tanto la comprensione del tutto non rientra nel nostro orizzonte. Lo stesso Larry, che si autodefinisce razionale fino al parossismo, quando spiega il principio di indeterminatezza di Heisenberg sta razionalmente spiegando che ci sono cose che non si possono prevedere. Come, appunto, le grandi tragedie della vita.

L’ebreo si pacifica presto con questa visione delle cose, perché il pensiero ebraico è costitutivamente legato alla domanda, che non ha mai una risposta univoca, certa, granitica. La religione ebraica è costruita sulla distanza tra la domanda e la riposta: quella distanza non verrà mai colmata, il che significa che la risposta non arriverà mai. In questa distanza abita il silenzio (anche) di Dio, su cui l’uomo s’intestardisce e su cui si infrangono i suoi tormenti. Il silenzio è dunque la condizione essenziale ed esiziale dell’ebraismo, e proprio per questo (e malgrado questo) gli ebrei continuano a interrogare i testi sacri, e a fornirne interpretazioni: perché il testo contiene sempre tutto quello che serve sapere, non si ripete mai e non può essere sbagliato (Dio non commette errori). Eventuali contraddizioni apparenti nei testi (nel mondo) possono essere risolte da un’interpretazione corretta, sebbene non sempre sia chiaro quale sia. Nessuna delle tre risposte dei rabbini è davvero sbagliata, come nessuna delle tre è giusta, altrimenti Larry metterebbe fine ai suoi tormenti.

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D’altronde, lo stesso Larry rifugge una visione manichea del mondo: quando lo chiamano per pagare il Club del Disco e gli comunicano che sta per ricevere Abraxas, noto cd di Santana, Larry dice chiaramente: “Non voglio Abraxas!”. Non sarebbe stato lo stesso se i fratelli Coen avessero scelto un disco dei Pearl Jam o di Bruce Springsteen. Perché Abraxas è il nome del dio supremo gnostico, e da che mondo e mondo gli gnostici concepiscono il mondo come una diade di bene e male, che è quanto di più lontano ci possa essere dal pensiero ebraico e quindi da A Serious Man.

La domanda, dunque, rimane sempre aperta, ed è sano e corretto che sia così. Con questa chiave di lettura si interpreta anche tutto il film, così come il suo prologo – dieci minuti di storiella in yiddish scritta direttamente dai fratelli Coen – che sembra totalmente scollegato dal resto della storia. Di fronte a un film del genere, i non ebrei, abituati al rigoroso determinismo kantiano, non sanno che pesci prendere. Roger Ebert, uno allevato secondo i precetti di Santa Madre Chiesa, aveva cercato disperatamente di ricollegare il prologo al resto della storia. I Coen sono come Dio che ordisce la storia, e magari ride pure dei nostri affanni. E noi ridiamo quando Larry, disperato, è costretto a pagare il funerale di Sy Ableman.

Francesca Sordini
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